Papa Francesco è un pontefice che ci ha abituato alle sorprese, ai gesti inaspettati. Fra questi sicuramente rientra la sua decisione di compiere un viaggio apostolico in Iraq a marzo 2021.
Ci aveva già provato Giovanni Paolo Secondo, nell’ormai lontano 2000. Però l’allora dittatore iracheno Saddam Hussein e il governo americano dell’epoca lo avevano dissuaso. Invece Francesco ce l’ha fatta nonostante la meta fosse tutt’altro che facile. Nonostante si sia nel mezzo di una pandemia globale. L’Iraq è infatti un paese molto difficile, dominato negli ultimi anni da un tragico mix di autoritarismo politico, corruzione, guerra, scontri settari ed etnici e terrorismo.
E’ sicuramente la meta più difficile in cui si sia recato questo pontefice, insieme forse alla disastrata Repubblica centrafricana nel 2015. Nel corso degli intensi tre giorni iracheni, Papa Bergoglio ha girato il paese in lungo e in largo, visitando la capitale Baghdad, Najaf, Ur, Mosul, Erbil e Qaraqosh. La scelta di questi luoghi non è affatto casuale. Baghdad è la capitale del paese, Najaf città santa dell’islam sciita, Ur luogo natale del patriarca Abramo,Erbil città principale dei curdi, Mosul simbolo degli orrori dell’Isis, Qaraqosh sede di un importante comunità cristiana.
Tre secondo me i fili conduttori, i grandi temi con i quali esaminare questo viaggio papale. Il primo è biblico teologico. L’Iraq non è un luogo alieno ai testi sacri cristiani. l’Antico Testamento è pieno di riferimenti a questa terra, sede delle antichissime civiltà dei Sumeri, dei Babilonesi e degli Assiri. Di qui proveniva appunto Abramo, originario di Ur e padre spirituale dei tre grandi monoteismi.
Papa Francesco si è dunque per prima cosa voluto recare in un luogo significativo per la fede cristiana. In secondo luogo, abbiamo l’importantissimo tema della difesa delle minoranze cristiane in terra d’Islam. L’Iraq ospitava, alla vigilia dell’invasione americana del 2003, circa 1.500.000 cristiani. Oggi sono ridotti ad appena 250.000. Moltissimi infatti nell’ultimo quindicennio sono fuggiti in Canada, in Australia, negli Stati Uniti ed in Europa Occidentale, terrorizzati da attentati, sequestri di persona ed omicidi e stanchi di soprusi, vessazioni e discriminazioni quotidiane in una società a stragrande maggioranza islamica. Tra i cristiani iracheni molti sono cattolici seguaci perlopiù di riti orientali come quello Siro-Cattolico e quello Caldeo.
Papa Francesco ha voluto rendere omaggio con il suo viaggio a questa minuscola frazione del suo gregge, per esempio celebrando messa nella cattedrale Siro-Cattolica di Baghdad, teatro alcuni anni fa di uno spaventoso attentato ad opera di estremisti islamici che uccise 48 fedeli.
Infine, la questione del dialogo con l’Islam. Questo viaggio iracheno completa quello compiuto nel 2019 da Papa Francesco negli Emirati Arabi Uniti. Lì Bergoglio aveva dialogato con l’Islam Sunnita incontrando il grande Imam dell’Università Al-Azhar del Cairo, in Iraq ha voluto fare un gesto di pace e distensione nei confronti dell’Islam Sciita incontrando a Najaf un importante autorità di questa corrente teologica minoritaria dell’Islam, l’Ayatollah Al-Sistani. Secondo me questo viaggio apostolico è il più significativo tra quelli finora compiuti da Papa Francesco il cui messaggio di fondo forse è che nel nome del loro padre comune, l’”iracheno” Abramo, cristiani, musulmani ed ebrei dovrebbero smettere di odiarsi e disprezzarsi e cominciare a considerarsi fratelli.