Da tempo, Giuseppe Conte ha subito una metamorfosi nel suo approccio coi media. Dall’atteggiamento impacciato, come era ovvio che fosse, dell’esordiente, che si faceva dettare tempi e parole da Rocco Casalino, suo tutor e protettore, agli inizi della sua esperienza da premier, a quello da star degli ultimi tempi. Come tutti i divi è diventato supponente e, persino, un tantino arrogante. Certamente sarcastico e irrispettoso. Per la seconda volta, in pochi giorni, il presidente del consiglio ha offeso, con il sarcasmo, un giornalista che faceva il suo mestiere, poneva domande sulla reale efficacia delle misure del governo e dei commissari nominati per gestire l’emergenza e chiedendo un giudizio sull’operato di questi ultimi. “Se lei ritiene di saper far meglio, la terrò presente”, ha risposto ieri all’inviato di Rtl 102.5, Alberto Ciapparoni, che poneva una domanda sull’operato del commissario Arcuri relativamente all’impossibilità di trovare le mascherine al prezzo calmierato. Al di là della risposta nel merito, soltanto una valutazione soggettiva, ecco il sarcasmo lesivo della professionalità del cronista che fa il suo mestiere. E, per assurdo, nella stessa conferenza stampa, Conte ha dato la solidarietà ai giornalisti di Ansa e Gazzetta del mezzogiorno, in sciopero, ribadendo l’importante ruolo democratico dell’informazione.
Evidentemente, vorrebbe una informazione che si limiti a fare da megafono ai bollettini del governo e che non faccia domande scomode. Come quella di Francesca Nava di Tpi, lo scorso 28 aprile, sulla mancata zona rossa nella bergamasca: “Se lei un giorno avrà responsabilità di governo, scriverà lei i decreti”, aveva risposto Conte. La cosa grave è che nessuno osa dire nulla, nè l’ordine dei giornalisti nè, mi pare, il sindacato. Licenza di offendere, quindi, una categoria che garantisce pluralismo e democrazia, ma che gli editori stanno pian piano facendo estinguere, mettendo sulle loro spalle i costi della crisi (ma intascando i dividendi, là dove, pure, ci sono).
La trasformazione di Conte è evidente e innegabile, ma il brutto anatroccolo, goffo e impacciato, è diventato un cigno altezzoso. Nei primi tempi, parlava il meno possibile, soverchiato com’era dai suoi due vice, Di Maio e Salvini, leader dei partiti che sostenevano il suo governo, e guidato coi fili da Casalino, nelle rare “esibizioni”. Ora è il padrone della scena, per mancanza di rivali. E ci sa fare, sa far fruttare la sua immagine, come dicono i sondaggi, che lo danno in testa agli indici di gradimento, dove è salito a forza di Dpcm e conferenze stampa a reti unificate. E’ persino diventato il più amato dalle italiane, l’idolo delle milf, rivaleggiando con Alberto Angela. Ha imparato l’arte della politica all’italiana, parlare senza dire, annunciare senza agire, promettere senza mantenere, ammiccare, affascinare. Chiedete a chi aspetta le provvidenze dello stato e intanto affonda nella disperazione.
In questa clip la difesa di Arcuri e la triste battuta indirizzata a @aciapparoni (“se lei ritiene di poter far meglio, la terrò presente”).#conferenzastampa pic.twitter.com/RV1p7yY4Vc
— Martino Loiacono (@martinoloiacono) May 16, 2020