D’accordo, il calcio non è una delle priorità degli italiani in questi giorni. Cerchiamo opportunità di evasione “fisica”, prima di quella dello spirito che lo sport nazionale garantisce in tempi di normalità. In questo, molti dei nostri connazionali sono d’accordo col ministro Spatafora e con la sua cautela nel dare il via alla ripresa degli allenamenti per gli sport di squadra, essenziale preludio a qualsiasi ipotesi di ripresa del campionato.
Se le serie minori, dalla Lega Pro ai dilettanti sono ormai rassegnati alla chiusura d’ufficio del campionato 2019/20, la massima serie dà ancora battaglia, non si rassegna a una ipotesi di stop e preme per una ripresa. Logico, troppi gli interessi in ballo, innanzitutto quelli economici che sono vitali per la stessa esistenza di un sistema che, ricorda Ivan Zazzaroni sul Corriere dello Sport, muove un fatturato di 5 miliardi, occupa 100.000 persone e versa allo stato quasi un miliardo e mezzo di imposte.
Certamente, prima o poi si ripartirà, si tornerà a giocare. Ma come? Tra innumerevoli e costose, per i club, misure di profilassi per garantire la sicurezza di giocatori e dipendenti, per evitare contagi che avrebbero conseguenze anche legali.
E si riprenderà con gli stadi vuoti, per evitare l’assembramento dei tifosi sugli spalti e fuori dagli impianti.
Sarà un calcio a usco e consumo delle tv. Le partite potranno essere seguite soltanto sui divani di casa. Certamente, già prima lo facevano moltissimi, quelli che disertavano gli stadi, per le trasferte delle squadre del cuore e i tifosi delle “grandi” d’Italia, quelle che hanno supporter lungo tutto lo stivale che, ovviamente, non potevano assistere alle gare di presenza.
Lo choc, quindi, non sarà questo, sarà vedere tutte le partite “a porte chiuse”. Possiamo ancora chiamarlo calcio, così?
Il tifo, la presenza dei tifosi sugli spalti, oltre che fonte di entrate per il club, è il valore aggiunto dello sport e di una disciplina come il calcio, che vive di passione, di senso dell’appartenenza, di cori, striscioni, rivalità e becerume degli ultras. Non soltanto colore, ma partecipazione. Che il tifo non possa contribuire a determinare un risultato è un luogo comune non del tutto fondato. La spinta degli spettatori può dare una marcia in più ai giocatori, una carica emotiva che i calciatori avvertono eccome. Non per nulla, dopo un gol, si festeggia sotto la curva, non di rado si vede un giocatore che batte un calcio d’angolo invocare il sostegno degli spalti. Persino nelle telecronache fittizie delle partite dei videogiochi, tipo playstation, in sottofondo c’è il rumore del tifo, proprio a sottolineare il clima che fa parte dell’essenza stessa di uno sport che non è soltanto spettacolo.
Invece, dovremo abituarci a qualcosa di molto diverso, almeno per qualche mese. Meglio che niente, obietteranno i calciodipendenti.
Un calcio puramente televisivo, un reality show con i calciatori al posto dei reclusi della casa del Grande fratello, dalle emozioni artificiali, asettiche, estranianti. Magari con le sagome degli spettatori, come fece qualche anno fa la Triestina per dissimulare i vuoti dello stadio Nereo Rocco. Una piccola grande rivoluzione, essenziale, necessaria, però, se si vuole che la trottola continui a girare, che il giocattolo resti il più possibile intatto, inattesa di ritrovarci sugli spalti e, magari, abbracciarci per un gol della nostra squadra