Il calcio, in Olanda, alza bandiera bianca. I Pesi Bassi sono il primo paese europeo a decretare la chiusura del campionato 2019/2020. Niente assegnazione del titolo, nessuna retrocessione e classifica cristallizzata al momento dell’ultima giornata disputata per la designazione delle squadre iscritte alle coppe europee del prossimo anno. Una scelta forzata, vista la decisione del governo di vietare tutte le manifestazioni sportive fino al primo settembre. Il campionato, però, se non in campo, rischia di finire nelle aule di tribunale: annunciano ricorsi le squadre che aspiravano alla qualificazione alle coppe europee e quelle di seconda serie che puntavano alla promozione in Eredivisie.
Ma il caso dell’Olanda dà il quadro preciso del disordine e della disarmonia che regnano in Europa, nel calcio come nella politica: ognuno va per conto suo. Ogni federazione deve fare i conti con le decisioni dei governi sulle misure per affrontare la pandemia. E l’Uefa può fare ben poco, davanti a condizioni nelle quali, come dice il direttore sanitario dello Spallanzani di Roma, Francesco Vaia, “Se vogliamo rendere un buon servizio allo sport, non dobbiamo decontestualizzarlo” dalla realtà del Paese.
In questo quadro, le posizioni sono diversissime da Paese a Paese. La Germania scalpita per partire, ma i giocatori potrebbero dover giocare con le mascherine, adatte per la pratica sportiva, ma da cambiare ogni quindici minuti. Assurdo, se non ridicolo. In Francia si dovrebbe ripartire con gli allenamenti l’11 maggio, ma la Ligue 1 è scossa da un caso di positività al Montpellier. In Spagna, il presidente della Liga si dice certo della ripresa per la chiusura del campionato, con la minaccia della retrocessione per chi non ci sta. E poi c’è la Premier League che studia possibili ipotesi, mentre il Paese è ancora in piena emergenza. In Romania si pensa di riprendere, facendo giocare le ultime giornate in…Turchia.
In Italia, si aspettano le decisioni del governo, con il fronte dei club della Serie A formalmente unito per la ripresa, ma con società come Brescia, Sampdoria e Cagliari, tra le altre, fortemente dubbiose. Insomma, un’Europa in ordine sparso. Tanto per cambiare.
Tornando in Italia, diverse le ipotesi sul tappeto, come quella di tenere le squadre chiuse in albergo e isolate per evitare contatti con l’esterno, e partite da giocare negli stadi delle città del centro sud. In ogni caso, la ripresa sarebbe graduale, con allenamenti individuali, una seconda fase con allenamenti di gruppo e quindi la preparazione vera e propria per una ripresa che non potrebbe esserci prima di giugno. Si annuncia un tour de force per arrivare alla chiusura della stagione entro agosto, per consentire lo svlgimento della fase finale delle Coppe europee, con le incognite sulla scadenza dei contratti, dei prestiti. L’urgenza deriva, più che dalla voglia dei tifosi di rivedere le loro squadre in campo, dalla necessità di incassare i soldi dalle tv, quelli che tengono a galla un sistema in equilibrio perennemente precario, in forte indebitamento e che, perdurando lo stop, vedrebbe molti club a rischio.
La ripresa insomma è ancora avvolta nell’incertezza. Il caso Olanda è un precedente, sia per l’orientamento della Federazione che per l’epilogo, dove i regolamenti sportivi lasceranno spazio e voce ai codici della giustizia. E non è un bello spettacolo. Proprio come quello che sta regalando l’Europa, intesa come Unione Europea