Voleva somigliare a Angelina Jolie, ma il risultato è stato tremendo e la sua notorietà mondiale attraverso Instagram l’ha portata in carcere, per decisione delle autorità del suo Paese, l’Iran. La giovane iraniana Fatemeh Khishvand, in cella, avrebbe contratto il coronavirus, ma i giudici negano e continuano a negarle la scarcerazione.
A denunciare il caso è il Centro per il diritti umani in Iran, secondo cui la diciottenne è ora in lotta per la vita, attaccata ai respiratori artificiali al Sina Hospital di Teheran, sempre in stato di detenzione, mentre il giudice che detiene il potere di liberarla è irraggiungibile, secondo il suo avvocato.
La ragazza era diventata famosa in tutto il mondo per la sua sconcertante trasformazione attraverso un esasperato ricorso alla chirurgia plastica e, probabilmente, anche ai ritocchi di immagine con photoshop. Davvero sconcertanti le foto e i video caricati sulla sua pagina di Instagram. Proprio quelli che portarono al suo arresto, lo scorso autunno.
E in carcere, la ragazza avrebbe contratto il Covid-19. L’Iran è devastato dalla diffusione del virus e i dati reali sono nascosti dal regime degli ayatollah, mentre hanno fatto il giro del mondo le immagini delle fosse comuni scavate per seppellire i tanti morti per la pandemia.
“Troviamo inaccettabile che questa giovane donna abbia contratto il coronavirus in queste circostanze mentre il suo ordine di detenzione è stato esteso durante tutto la detenzione”, ha detto l’avvocato per i diritti umani Payam Derafshan al Center for Human Rights in Iran (CHRI).
Fatemeh Khishvand, 18 anni, nota su Instagram come “Sahar Tabar“, è stata arrestata nell’ottobre 2019 in un giro di vite nazionale sulle celebrità di Instagram. Il suo account Instagram ampiamente seguito conteneva le sue foto in forme drammaticamente alterate spesso con trucco e costumi pesanti che la rappresentavano come uno zombie.
Secondo i suoi difensori, la sua era una lotta pacifica per la libertà di espressione, ma il regime l’ha vista diversamente e l’ha accusata di “corruzione dei costumi islamici”, “incitamento alla corruzione incoraggiando i giovani a impegnarsi nella follia”.
Il giudice Mohammad Moghiseh della sezione 28 della Corte rivoluzionaria ha ripetutamente respinto le richieste di rilascio di Khishvand su cauzione, anche se altri prigionieri su cui gravavano le stesse accuse sono stati temporaneamente rilasciati dopo lo scoppio del COVID-19 nel paese.