Europa: la solidarietà ai tempi del Coronavirus

di Donatella Naselli

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Europa: la solidarietà ai tempi del Coronavirus

| giovedì 02 Aprile 2020 - 17:51

Lo scorso venerdì 27 marzo il Presidente Mattarella ha pronunciato il suo discorso sull’emergenza coronavirus. Tra gli appelli del Presidente non è mancato quello diretto ai Capi di Stato e di Governo dell’Unione Europea per l’adozione di “ulteriori iniziative comuni, superando vecchi schemi ormai fuori dalla realtà delle drammatiche condizioni del nostro Continente”.

Un (non) velato richiamo allo scontro sugli eurobond (anche noti come “coronavirus bond”) che si è acceso tra i componenti del Consiglio europeo nella riunione virtuale del 26 marzo, in cui ha avuto luogo ad una vera e propria debacle politica.

La rabbia e i contrasti sorti durante la discussione si sono affievoliti grazie al rinvio disposto dal Presidente, Charles Michel, che ha rimesso in capo all’eurogruppo il compito di presentare entro quindici giorni delle proposte volte ad arginare le ripercussioni socio-economiche della crisi scoppiata a causa del Covid-19.

In un comunicato stampa diffuso all’esito dell’incontro, Charles Michel ha affermato che l’unica strada percorribile è una strategia comune nello spirito della solidarietà europea. Tuttavia, i 27 del Consiglio europeo sembrano essersi fermati proprio di fronte alla mancanza di una definizione comune di “solidarietà”.

Ancora una volta, il meeting dei leader europei – che dovrebbe essere il simbolo dell’unione – evidenzia le forti divisioni esistenti all’interno del club, questa volta alimentate dai risentimenti per la gestione della crisi dell’eurozona del 2008 e dall’indisponibilità mostrata da alcuni Stati di intervenire a supporto dell’Italia, in primis, attraverso la fornitura di attrezzature mediche.

Di fronte alla strenua opposizione di Germania e Olanda, i rappresentanti di Belgio, Francia, Grecia, Irlanda, Lussemburgo, Portogallo, Slovenia e Spagna sostengono la proposta propugnata dal Presidente del Governo italiano, Conte, di reagire alla crisi economica con strumenti finanziari innovativi, ovvero attraverso “uno strumento di debito comune emesso da una Istituzione dell’UE per raccogliere risorse sul mercato sulle stesse basi e a beneficio di tutti gli Stati Membri, garantendo in questo modo il finanziamento stabile e a lungo termine delle politiche utili a contrastare i danni causati da questa pandemia”.

Secondo i nove componenti del Consilio europeo a favore dei coronavirus bond “vi sono valide ragioni per sostenere tale strumento comune, poiché stiamo tutti affrontando uno shock simmetrico esogeno, di cui non è responsabile alcun Paese, ma le cui conseguenze negative gravano su tutti. E dobbiamo rendere conto collettivamente di una risposta europea efficace ed unita. Questo strumento di debito comune dovrà essere di dimensioni sufficienti e a lunga scadenza, per essere pienamente efficace e per evitare rischi di rifinanziamento ora come nel futuro” – così si legge nella lettera inviata al Presidente del Consiglio europeo alla vigilia del summit.

Il richiamo alla responsabilità sembra diretto a scacciare i fantasmi della crisi del 2008 – quando agli
Stati con il debito pubblico più elevato (“PIGS”) veniva rimproverato di essere i soli responsabili
della propria condizione.

Nonostante la riunione del 26 marzo sia stata lasciata in sospeso, vi sono stati diversi segnali che hanno lasciato intendere che la proposta italiana non è sul tavolo. In un’intervista a soli due giorni di distanza dal summit, il Presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha dichiarato di essere in linea con le preoccupazioni della Cancelliera tedesca e che l’espressione coronavirus bond è solo uno slogan– escludendo, in sintesi, l’ipotesi che l’Unione possa elargire prestiti contro la disoccupazione negli Stati Membri causata dalla pandemia.

A queste parole è seguito un chiarimento sul termine “slogan” richiesto dal Ministro Gualtieri che – in un tweet – si è detto soddisfatto della spiegazione fornita dalla von der Leyen sull’errata traduzione dell’espressione utilizzata, ed ha esortato la Commissione a lavorare su “tutte” le opzioni possibili.

Sembra che i rappresentanti dei paesi pro coronavirus bond non siano disposti ad accettare un “no”
come risposta, ma per ottenere ciò che vogliono in questi giorni dovranno convincere il popolo germanico che anche l’economia tedesca è a rischio.

La logica dei coronavirus bond prevede che i paesi con un alto debito pubblico come l’Italia, la Spagna e la Grecia possano rivolgersi al mercato per recuperare le provviste necessarie a mandare avanti la propria economia, e che, nel contesto di tale operazione, i paesi dell’eurozona più virtuosi facciano da garanti. In questo modo gli investitori dovrebbero considerare l’investimento meno rischioso e applicare un tasso d’interesse più basso, rendendo così più semplice il ricorso al mercato del prestito per i paesi che ne hanno bisogno.

Una situazione di emergenza e gravità come quella attuale potrebbe giustificare il ricorso a strumenti di debito comune nell’ambito dell’eurozona. Tuttavia, ciò comporterebbe il superamento della condizione imposta dalla Germania per l’adozione della moneta unica: “Gli Stati dell’UE non saranno responsabili degli impegni economici assunti dagli altri membri”.
A questo stadio della negoziazione è difficile prevedere quali tra le misure in discussione per tamponare il disastro economico creato dal Covid-19 troveranno il sostegno unanime del Consiglio europeo. Tuttavia, emerge da ogni parte l’auspicio di una soluzione comune e tempestiva.

“Ora è il momento che il Consiglio europeo faccia rapidi progressi sul fronte fiscale e annunci quanto prima qualcosa che dimostri di aver preso in piena considerazione la gravità della situazione. Lasciare che ogni paese risponda da solo con il solo sostegno della BCE potrebbe rivelarsi una risposta insufficiente, e un’azione tardiva di bilancio sarebbe probabilmente più costosa rispetto all’attuale andamento dei mercati. L’annuncio di una qualche forma di mutualizzazione invierebbe un segnale di unità al mondo in questi tempi difficili – ma è anche fondamentale che ciò avvenga con una forte legittimità democratica e un ampio sostegno pubblico” (post degli economisti Grégory Claeys e Guntram B. Wolff del 26 marzo su bruegel.org. Testo originale in inglese).

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