L’occhio secco si diffonde sempre di più come un’epidemia metropolitana. Tutta colpa della città, infatti. Sì, perché overdose digitale, aria condizionata o riscaldamento e smog influiscono notevolmente sulla salute dei nostri occhi.
La tecno-dipendenza da computer, tablet e smartphone che supera le 6 ore al giorno, l’abuso di aria condizionata o riscaldamento e lo smog ‘asciugano la vista’ al 75% degli italiani, con punte dell’83% fra chi abita in Pianura padana.
Occhio secco come un’epidemia, tutta colpa della città
A fotografare questa allarmante situazione è uno screening nazionale, che ha coinvolto 745 persone di 11 regioni d’Italia.
In tutto lo Stivale, 16 centri hanno aderito alla quarta campagna di prevenzione e diagnosi promossa dal Cios (Centro italiano occhio secco) di Milano diretto da Lucio Buratto, in collaborazione con la clinica Oculistica dell’università dell’Insubria di Varese, diretta da Claudio Azzolini. L’iniziativa ha avuto il patrocinio del ministero della Salute e del Soi (Società oftalmologica italiana).
Le 745 persone in questione si sono sottoposte a controlli gratuiti. I risultati vengono diffusi nel capoluogo lombardo insieme a quelli della prima campagna di prevenzione e diagnosi del cheratocono.
Tra i fattori di rischio per l’occhio secco si confermano età, sesso, alterazioni ormonali, malattie sistemiche, fumo e alcol. Sono maggiormente colpiti gli over 50 e le donne.
“Ma insieme a questi, e con un’incidenza sempre maggiore nell’insorgenza della sindrome – sottolineano gli specialisti – ci sono l’inquinamento atmosferico, il lavoro in ambienti con aria condizionata oppure molto ventilati o secchi, e l’uso prolungato di dispositivi dotati di schermo luminoso“.
Queste condizioni, infatti, alterano la funzionalità lacrimale e sono “riscontrabili nelle grandi città metropolitane, soprattutto del Nord, in percentuale doppia rispetto alle altre zone d’Italia”.
In base alla distribuzione dell’inquinamento sul territorio nazionale, sono state individuate due categorie: informazioni provenienti dai centri situati in Pianura padana (gruppo A – Milano, Varese, Torino e Padova), o da altri territori (gruppo B – Napoli, Arezzo, Pisa, Bari, Catania, Sassari e Lecce).
L’analisi ha mostrato che nel gruppo A più del 20% dei pazienti trascorre oltre 6 ore al giorno in un ambiente condizionato, contro meno del 10% nel gruppo B. Anche l’uso della tecnologia per più di 6 ore al giorno è maggiore nel gruppo A (47%) rispetto al B (33%).
“Di fronte agli schermi luminosi – avvertono gli esperti – si tende a sbattere le palpebre (ammiccamento) molto meno frequentemente, con una ridotta produzione di lacrime e un’eccessiva evaporazione”. Condizioni che portano secchezza all’occhio.
“L’aumento dei casi di secchezza oculare che si è registrato negli ultimi anni – aggiungono gli specialisti – è correlato anche alla crescita esponenziale dei casi di allergia“, riscontrata nel 18% dei pazienti di entrambi i gruppi A e B. Quanto infine alle patologie sistemiche, dagli screening condotti, solo per le tiroiditi il campione B conta più pazienti (20%) rispetto all’A (11%).
Le altre campagne di prevenzione: cheratocono e maculopatia diabetica
“Quest’anno abbiamo organizzato tre campagne di diagnosi e prevenzione contro maculopatia diabetica (gennaio), occhio secco (maggio-giugno) e cheratocono (settembre-ottobre)”. Lo spiega, secondo quanto riportato da Adnkronos.it, Buratto, direttore scientifico di Cios e Camo.
“È stato impegnativo, ma grazie alla collaborazione con università e centri d ricerca e con il sostegno delle istituzioni, in primis il ministero della Salute, abbiamo raggiunto ottimi risultati ed è stato centrato l’obiettivo: aiutare le persone a vivere meglio, diffondendo la cultura della prevenzione. Tutti gli esami sono stati completamente gratuiti – precisa l’esperto – e le tecnologie a disposizione all’avanguardia nel mondo della diagnostica”, anche con l’impiego di test genetici (test Avellino) e intelligenza artificiale per stanare il cheratocono.
La prima campagna contro il cheratocono ha permesso di valutare 317 persone in 21 centri, ancora sotto l’egida di Buratto quale direttore del Camo (Centro ambrosiano oftalmico), con Neovision e in collaborazione con le università di Verona e di Chieti-Pescara.
Ne è emerso che quasi 2 italiani su 10 soffrono o potrebbero ammalarsi di questa patologia progressiva della cornea, tipica dell’adolescenza e associata – se non trattata – a un crollo della capacità visiva.
In particolare, l’82% delle persone visitate non presenta alterazioni riconducibili alla patologia, il 10% mostra alterazioni sospette e l’8% modifiche corneali spia di un cheratocono già evidente e mai diagnosticato in precedenza. Un 18% che, riguardando una malattia di giovani e giovanissimi, desta negli addetti ai lavori “una certa preoccupazione”.
Nell’occhio affetto da cheratocono la cornea si assottiglia e cambia foggia. Spesso diventa miope, ma è l’astigmatismo irregolare a disturbare maggiormente la visione restituendo immagini sfocate e deformate.
La patologia può insorgere già durante la pubertà e, se non viene immediatamente diagnosticata, diventa difficile da curare.
Il Cross Linking può essere un valido aiuto contro il problema, se diagnosticato in tempo. Si tratta di una tecnica para-chirurgica che si è dimostrata efficace nel rallentare e in molti casi fermare l’evoluzione del cheratocono. Bisogna applicare sulla cornea un farmaco chiamato riboflavina, successivamente attivato da una luce ultravioletta Uva. L’azione combinata stimola la cornea a rinforzare i legami fra i tessuti che la compongono.
Commenta Buratto: “Gli screening hanno evidenziato come la sindrome dell’occhio secco sia una patologia in continuo aumento nella nostra società, in particolare nei grossi centri urbani e in maniera molto evidente nella Pianura padana, mentre il cheratocono è una grave patologia che colpisce in prevalenza gli adolescenti. Non ha un’incidenza altissima, ma se non diagnosticata può diventare un serio problema risolvibile solo con il trapianto di cornea. Per queste e altre patologie dell’occhio, e non solo – ammonisce l’esperto – la via maestra è quella della prevenzione. Una sempre più stretta collaborazione tra medici, ricercatori e istituzioni, in un’ottica di Welfare Community, è il modo migliore per garantire una diagnostica di alta qualità alle persone e per evitare impegni più gravosi in futuro”.