C’era grande fermento nel mondo del tennis per la nuova Coppa Davis. La formula delle finali nell’arco di una settimana, in realtà, aveva sin dall’inizio convinto poco una grande fetta di addetti ai lavori, da Roger Federer al capitano australiano Lleyton Hewitt. Il modello imposto da Gerard Piqué, alla prova dei fatti, sembra non aver retto il peso delle aspettative.
Caos orari e ritiri
Nella notte, l’Italia è stata eliminata dopo la sconfitta con gli Stati Uniti. La maggior parte degli italiani, a eccezione di quelli più “malati”, lo ha però scoperto solo stamattina. Impossibile, infatti, restar svegli a seguire gli azzurri fino alla fine del match. Il decisivo doppio, dopo che i due singolari erano stati vinti, uno per parte, da Fognini su Opelka e Fritz su Berrettini, è infatti iniziato all’una e mezza. Con la partita arrivata al terzo set, è facile capire come si sia arrivati alle 4:04. Un numero che sa tanto, per parlare in gergo informatico, di “not found”.
Uno scenario prevedibile già dal primo giorno. Se allora si era giocata solo la sessione pomeridiana dalle 16, a partire da martedì il doppio turno ha visto troppe sovrapposizioni. Il turno mattutino delle 10, con due singolari e un doppio da giocare, ha spesso scavalcato i limiti della sessione serale alle 18, al punto che ieri Fognini e Opelka sono scesi in campo addirittura oltre le 20.
Poco male, dato che l’Italia era di fatto già stata eliminata. Gli Stati Uniti erano stati favoriti dal Canada con il ritiro nel doppio, ma soprattutto il Belgio aveva potuto beneficiare di un analogo ritiro da parte dei doppisti australiani. Di fatto, gli slot da migliori seconde erano irraggiungibili per la nostra nazionale. Un altro punto su cui riflettere per il bene della competizione.
Tasche piene, spalti vuoti: non è la Davis della gente
Inutile girarci intorno: la Coppa Davis targata Piqué non è un successo di pubblico. La Caja Magica di Madrid riesce a riempirsi al completo solo quando in campo c’è la Spagna di Rafa Nadal. In altre occasioni, specialmente per partite tra paesi non troppo vicini, lo scenario è desolante. Persino la Serbia, nota per i suoi tifosi rumorosi, non è riuscita a colmare gli spalti madrileni.
Un fallimento che la regia dell’evento cerca di mascherare per quanto possibile, con inquadrature strette sui gruppi più nutriti. Tantissime le critiche piovute da chi, anni fa, questo evento lo ha giocato, e ha potuto essere testimone di sfide seguitissime e con tifo assordante.
Ho le lacrime agli occhi nel vedere come hanno massacrato una competizione che necessitava solo di qualche correzione! Di bello ha solo il nome. Vero, non tutti la giocavano ma vorrei ricordare che a Madrid ( per vari motivi) mancano 5 dei primi 10 del mondo.
— paolo bertolucci (@paolobertolucci) November 20, 2019
Il dualismo con l’ATP Cup
Di certo, non aiuta la competitività la competizione che si è accesa tra la “Piqué Cup” e l’ATP Cup, lanciata dall’organizzazione tennistica maschile per contrastare la nuova Davis. Tra quaranta giorni, in Australia, si giocherà una coppa estremamente simile. Prenderà il posto dei tornei di Sydney e Brisbane e dell’esibizione per nazionali che andava in scena a cavallo di Capodanno, la Hopman Cup.
Insomma, una serie di problemi che impediscono alla Davis di soddisfare appassionati e addetti ai lavori, e che forse andrebbero affrontati in tempi brevi per evitare il fallimento dell’evento. Se gli ultimi anni avevano visto una coppa “povera” in canna, ma ancora viva nel cuore della gente, adesso il rischio è che l’iniezione di miliardi voluta dal gruppo Piqué abbia portato via questo amore popolare. La struttura andrebbe quantomeno ripensata, su due settimane, per evitare accavallamenti e orari improbabili. Per farlo, però, probabilmente bisognerebbe trovare anche un nuovo slot nel calendario. Giocare per due settimane a fine novembre, dopo una stagione infinita, potrebbe definitivamente allontanare i migliori del circuito.