Silvia Romano è stata rapita in Kenya esattamente un anno fa. Era il 20 novembre 2018 quando si perdevano le tracce della ragazza a Chakama, a circa 80 chilometri da Nairobi. Da allora Silvia passa di prigione in prigione nelle mani di gruppi islamisti. Adesso si troverebbe in Somalia.
Intanto 23 tra pirati e jihadisti appartenenti all’organizzazione Al-Shaabab, a quanto apprende l’Adnkronos, sono stati raggiunti da misure preventive personali e patrimoniali in Somalia, in relazione alla vicenda.
Rapimento di Silvia Romano, da un anno esatto nelle mani di gruppi islamisti
Un caso che per molti giorni ha lasciato con il fiato sospeso. Una giovane volontaria italiana rapita in Kenya. Si chiama Silvia Romano, ha 23 anni e prestava il suo servizio nella Ong “Africa Milele”. Poi la richiesta di riservatezza da parte della famiglia. Intanto la macchina diplomatica si era messa in moto per riportare Silvia presto a casa. Sana e salva.
È passato esattamente un anno dal giorno di quella notizia che fece raggelare il sangue nelle vene. Un sorriso smagliante, la giovinezza, tanti sogni coperti da una macchia nera: Silvia è stata rapita. Da allora è passata di prigione in prigione, adesso si troverebbe in Somalia, nelle mani di un gruppo islamista vicino agli jihadisti di Al-Shabaab. Dopo 365 Silvia non è ancora tornata a casa.
23 jihadisti nel mirino delle autorità somale
Intanto le autorità somale hanno ordinato 23 arresti e il sequestro di beni nell’ambito dell’inchiesta. A essere colpiti dai provvedimenti sono 23 tra pirati e jihadisti appartenenti all’organizzazione Al-Shaabab.
Secondo quanto riferito dall’Adnkronos, sono stati raggiunti da misure preventive personali e patrimoniali in Somalia in relazione al rapimento della cooperante italiana sequestrata il 20 novembre scorso nel villaggio di Chakama in Kenya e attualmente, secondo quanto ricostruito anche dalla Procura di Roma e dai carabinieri del Ros, tenuta prigioniera dal gruppo terrorista affiliato ad Al Qaeda.
I 23 – pirati, capi locali di al Quaida e mediatori – sono sospettati di aver organizzato e gestito il sequestro della cooperante italiana. Ad autorizzare le richieste di arresto e di sequestro di beni è stato il presidente della Alta Corte del South West State, da cui dipende una sezione specializzata anti pirateria che dallo scorso mese di luglio indaga sul caso e della quale fa parte, come esperto «onorario», anche un italiano, Mario Scaramella, da quasi dieci anni in Somalia dove insegna diritto pubblico.
Sarebbe stato proprio Scaramella a proporre le misure di prevenzione sui sospetti (uno dei quali sarebbe già detenuto a Baidoa). Prima di essere nominato docente alla South West State University e membro onorario della Alta Corte, ha lavorato come assistente del procuratore federale della Somalia nella repressione della pirateria.
Contattato dall’Adnkronos, Scaramella si è limitato a dire: “Bisogna astenersi da commenti e dal fornire dettagli su una vicenda in corso, indagano le procure dei paesi coinvolti che spero assicureranno alla giustizia i criminali responsabili e gli sciacalli, mediatori senza scrupoli, che hanno speculato e speculano sulla vita di una ragazzina indifesa“.