È un riconoscimento all’artista primitivo, all’espressionista tragico che ha inondato i suoi dipinti, le sue sculture e tutte le opere della sua tragedia personale ossessiva e avvincente. Con una biografia romanzata su Antonio Ligabue, Carlo Vulpio, giornalista e scrittore, ha reso quasi comprensibile “Il genio infelice” che alberga nel “mat”, creativo e tormentato, immaginifico e indomabile.
Carlo Vulpio col suo “Genio infelice” al Focus della Fondazione Federico II
Il libro è stato presentato a Palermo, in un Forum organizzato dalla Fondazione Federico II, nell’Oratorio di Sant’Elena e Costantino, a Palermo. Il Forum si inserisce in un programma più ampio di incontri e approfondimenti avviato lo scorso giugno sul tema della mostra, attualmente in corso a Palazzo Reale, “Castrum Superius. Il Palazzo dei Re Normanni”.
Ha dialogato con l’autore Silvia Mazza, storica dell’arte e giornalista.
Il racconto di Vulpio, è un viaggio attraverso il tema della follia, dell’indifferenza, della cinica volontà di escludere gli ultimi. Lo hanno affrontato il presidente dell’Ars Gianfranco Miccichè e il direttore generale della Fondazione Federico II, Patrizia Monterosso in un fil rouge immaginario e vicinissimo con “Acqua Passata¿”, l’opera allestita a Piazza del Parlamento in memoria dei migranti morti nel Mediterraneo. Due espressioni della stessa faccia che si nutrono dell’indifferenza e dell’apatia. Un invito ad una necessaria riflessione sul tema del rapporto della comunità con chi è diverso.
“L’invito alla lettura, proposto dalla Fondazione Federico II – ha detto Gianfranco Miccichè, Presidente dell’Ars e della Fondazione Federico II – rappresenta l’opportunità di recuperare questa volta il valore di un grande artista, colui che viene dipinto come il Van Gogh italiano. Riappropriarsi di quella grandezza, attraverso la lettura di un grande giornalista, diviene un’occasione di riflessione”.
La vicenda umana di Ligabue è più che attuale. Un uomo dichiarato folle testimone del secolo della follia delle guerre, dei lager e dell’emigrazione. Un artista, un uomo contro a sua insaputa, con caparbietà in direzione opposta alle catastrofi del Novecento.
“Il romanzo aiuta il lettore a rivedere la visione, talvolta frettolosa e sterile, verso chi è diverso. L’autore introduce un’ulteriore riflessione – ha sottolineato Patrizia Monterosso, direttore generale della Fondazione Federico II – per andare oltre la finta compostezza di un conformismo che omologa tutto persino la creatività e l’espressione artistica sotto un unico schema mentale che diviene cliché per l’umanità. E per questa ragione a buon titolo il romanzo diviene un inno alla creatività, alla bellezza”.
La simbologia del conflitto, l’ineluttabilità della morte, la sovranità della vita che si ribalta sulla morte quando tutto sembra perduto: il romanzo di Vulpio è un inno alla vita, al riscatto di ciò che sfugge all’omologazione e vince su tutto.