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Il Governo che non c’è e il ritorno di Renzi, segretario redivivo

Sfiduciato il governo Conte, tutti i partiti sono impegnati nella ricerca della possibilità di formarne uno nuovo; momento importante  e soprattutto prezioso per quei partiti di cui nessuno ricordava più l’esistenza che per l’occasione resuscitano  riacquistando l’identità dimenticata. È una situazione molto articolata e con molti protagonisti che quotidianamente  fanno  sempre più sbiadire il diligente professor Conte, al quale però resterà per sempre il ricordo di una esperienza tanto interessante quanto inaspettata. Come Costituzione prevede e come il Presidente esegue, si procede alla verifica della possibile  formazione  di una maggioranza parlamentare che consenta il prosieguo della legislatura senza dovere ritornare alle urne, dunque con l’alleanza tra i maggiori partiti dell’arco parlamentare secondo i risultati delle elezioni politiche del marzo 2018: primo fra tutti il trionfante Cinque Stelle ed a seguire PD che,  seppure con una debacle senza precedenti grazie al conduttore Renzi, risultò comunque essere il secondo partito precedendo la Lega ed il resto del centro destra.

Il governo allora si formò con Lega e Cinque Stelle, non avendo trovato questi ultimi alcun dialogo con il PD che, quindi all’opposizione, attraversò tutto il tempo mettendo in campo una azione sì politica ma anche una sequela  di insulti ed improperi all’indirizzo del governo e dei singoli  uomini di quei partiti. Oggi, che la sfiducia viene dalla Lega, il PD si sbraccia per continuare la legislatura formando una maggioranza, e quindi un governo, con quello stesso Cinque Stelle ricoperto delle peggiori nefandezze per diciotto mesi. Sponsor sfegatato  della nuova alleanza il semper vivens Matteo Renzi: esattamente quello stesso che da segretario di partito aveva portato il PD al disastro e che aveva promesso che in caso di sconfitta si sarebbe ritirato dalla politica;  quello stesso che da segretario non aveva saputo nel 2018 creare le condizioni dell’alleanza con i Cinque Stelle nel 2018; quello stesso che per diciotto mesi dai banchi del Senato – che avrebbe voluto abolire  e dove invece  è stato eletto – ha inveito contro i partiti di governo Lega e CinqueStelle.

Oggi invece Renzi non si dà pace per creare una maggioranza, e quindi un governo, con quelli che sono stati non antagonisti bensì addirittura nemici acerrimi  fino ad ieri. Ma Nicola Zingaretti, nel frattempo eletto nuovo segretario del partito, si agita molto meno e getta acqua sul fuoco affermando anzi di potere accettare alleanze col nemico di sempre purché questo garantisca il rispetto delle richieste del proprio partito, prima fra tutte quella di una discontinuità in nome della quale la prima vittima sarebbe il professor Conte; che invece i CinqueStelle continuano in accettabilmente a proporre. Il quadro è davvero interessante perché, dentro la cornice della crisi di governo, si agitano gli interessi più svariati: come già dentro lo stesso PD, primi fra tutti ed  opposti, quello di Renzi e quello di Zingaretti.

Renzi infatti, seppure sconfitto e non più segretario del partito, detiene il pacchetto notevole di quei senatori e deputati eletti con liste da lui fatte al tempo della sua segreteria e quindi a lui fedelissimi, e che sarebbero più di quaranta enormemente determinanti: praticamente Renzi ha in mano il PD di cui Zingaretti è segretario solo sulla carta, ed ha tutto l’interesse a non andare al voto che lui  sa bene potere essere rovinoso ma piuttosto alla riaffermazione del proprio peso politico attraverso la alleanza  di una nuova maggioranza.

Zingaretti invece, e proprio per lo stesso motivo, ha l’interesse opposto: cioè andare a nuove elezioni  cogliendo l’occasione straordinaria ed inaspettata – se non addirittura invece preordinata dai due –  per eliminare Renzi e conquistare finalmente il partito attraverso parlamentari eletti in liste questa volta da lui composte. Uguale è l’interesse al voto della Lega in continua ascesa e che attraverso il voto vede la propria volata. Zingaretti e Salvini pertanto sono non soltanto i protagonisti di questa crisi, ma i veri alleati e con un patto di ferro per provocare un vero terremoto politico: perché dal voto, dai due fortemente voluto, verrebbe fuori una maggioranza forte di centro destra; un PD di cui Zingaretti finalmente sarebbe realmente il segretario, un PD all’opposizione ma rinnovato e comunque in ascesa a premio dell’operazione trasparenza effettuata e molto gradita alla base.

I CinqueStelle rimarrebbero col cerino in mano ed i partitini satelliti scomparirebbero. Sembra quindi che fino a martedì, limite posto da Mattarella, Zingaretti si mostrerà disponibile all’accordo in realtà parlando di acqua fresca: poi Zingaretti salirà al Colle dichiarando l’impossibilità di una nuova maggioranza di cui Mattarella dovrà prendere atto e la necessità di andare al voto. Con buona pace di Renzi e di Grillo.

Tignitè

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Tignitè
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