La DIA di Trapani ha eseguito il sequestro di beni e di conti correnti riconducibili ad imprenditori di San Giuseppe Jato, in provincia di Palermo. Si tratta di Ciro Gino Ficarotta, il figlio Leonardo e il nipote Paolo Vivirito, accusati di finanziare la mafia trapanese.
Il provvedimento di sequestro è stato emesso dal Tribunale di Trapani – Sezione Penale e Misure di Prevenzione, su proposta del Direttore della DIA.
Maxi sequestro ad imprenditori di San Giuseppe Jato, finanziavano la mafia trapanese
Nei confronti dei tre, oltre al sequestro, è stata proposta, inoltre, la misura della sorveglianza speciale, con obbligo di soggiorno, perché tutti indiziati di appartenere all’organizzazione mafiosa “cosa nostra”.
Ciro Gino Ficarotta, negli anni novanta, era stato già coinvolto in vicende giudiziarie a causa dei suoi rapporti con i boss Giovanni Brusca e Baldassare Di Maggio.
Le indagini della Dia di Trapani e dell’Arma dei carabinieri su infiltrazioni della mafia trapanese hanno permesso di sventare gli investimenti immobiliari illeciti sui terreni agricoli, offerti all’asta nell’ambito di procedure esecutive.
A seguito di tale vicenda, i citati soggetti, unitamente ad altri, sono stati destinatari di ordinanza di custodia cautelare in carcere per concorso esterno in associazione mafiosa, confermata dal Tribunale del Riesame.
Fondamentali per l’attività investigativa, i contributi dei collaboratori di giustizia Attilio Fogazza, Nicolò Nicolosi e Lorenzo Cimarosa. Oltre alla valorizzazione delle conversazioni criptate tra Vito Gondola e altri mafiosi nell’ambito del procedimento finalizzato alla cattura del latitante Matteo Messina Denaro.
Dalle indagini è emerso l’intervento di Salvatore Crimi e Michele Gucciardi, ritenuti rispettivamente i capi delle famiglie mafiose di Vita e Salemi, nella gestione di una grossa operazione, finalizzata all’acquisto, in un’asta giudiziaria, di una vasta tenuta agricola di oltre sessanta ettari (sita in località Pionica del comune di Santa Ninfa) e la successiva rivendita alla Vieffe, società agricola riconducibile ai tre imprenditori di San Giuseppe Jato.
L’azienda agricola era di proprietà della moglie di Antonio Salvo, nipote dei noti esattori salemitani, i cugini Nino e Ignazio Salvo. Formalmente è stata acquistata all’asta da Roberto Nicastri, ritenuto prestanome del fratello Vito, noto imprenditore del settore eolico, già sorvegliato speciale, per poi essere ceduta alla Vieffe dei Ficarotta e Vivirito per l’importo di 530.000 euro.
Il prezzo di vendita reale dei terreni era, però, notevolmente superiore a quello dichiarato negli atti notarili. La differenza, pari a oltre duecentomila euro, sarebbe stata versata dai Ficarotta in contanti nelle mani dagli uomini di cosa nostra, per la loro attività di “intermediazione immobiliare”.
Secondo le dichiarazioni del defunto collaboratore di giustizia Lorenzo Cimarosa, parte di tale somma sarebbe stata destinata da Michele Gucciardi e Vito Gondola al mantenimento di Matteo Messina Denaro. Il latitante, a sua volta, l’avrebbe ricevuta tramite lo stesso Cimarosa e Francesco Guttadauro, nipote prediletto del latitante, in atto detenuto.
Inoltre Gucciardi avrebbe costretto la proprietaria originale a rinunciare ai propri diritti di reimpianto dei vigneti insistenti sulla tenuta agricola. In questo modo gli imprenditori di San Giuseppe Jato avrebbero potuto ottenere finanziamenti comunitari per seicentomila euro circa, in parte distratti per pagare il prezzo d’acquisto della tenuta stessa.
Dalle indagini è emerso anche che, durante alcune segrete riunioni, si è parlato anche di altri terreni sottoposti a procedure esecutive, appartenenti ad Antonio Salvo, marito di Giuseppa.
In quest’ultimo caso, però, l’operazione non fu portata a termine per la difficoltà nel reperire i fondi necessari e, in seguito, anche per il rifiuto dell’aggiudicatario di cedere alle pressioni mafiose.
Pertanto, il Tribunale di Trapani ha disposto il sequestro dell’intero compendio aziendale della Società Agricola semplice Vieffe, proprietaria della tenuta agricola di oltre sessanta ettari di c/da Pionica di Santa Ninfa, per un valore di mercato stimabile in circa un milione e mezzo di euro, oltre che di numerosi conti e depositi bancari.