Maxi-confisca di beni per per sette milioni di euro a un imprenditore del reggino legato alla ‘ndrangheta. A Roberto Morgante, 60 anni, nativo di Villa San Giovanni e attualmente in carcere, la Direzione Investigativa Antimafia di Reggio Calabria ha confiscato quattro società operanti nel settore edilizio e degli impianti idro-termo-sanitari, 26 immobili ad uso personale ed aziendale a Reggio Calabria e Villa San Giovanni e vari conti correnti personali ed aziendali, polizze e dossier titoli per un valore di circa 2,6 milioni di euro.
La confisca, operata sotto il coordinamento del Procuratore Distrettuale di Reggio Calabria Giovanni Bombardieri e del Procuratore Aggiunto Calogero Gaetano Paci, ha dato esecuzione a un decreto emesso dal locale Tribunale – Sezione Misure di Prevenzione. Già sottoposto alla misura dell’avviso orale nel 1993 dal Questore di Reggio Calabria, Morgante era stato arrestato nel 2014 insieme ad altri 39 soggetti nell’ambito dell’operazione Tibet, coordinata dalla Procura della Repubblica-Dda di Milano e le cui indagini erano state condotte dalla Squadra Mobile di Milano – con il significativo apporto investigativo fornito dal Centro Operativo Dia di Reggio Calabria.
Sulla base delle risultanze investigative di entrambi gli uffici di polizia, era emerso che Morgante agiva quale rappresentante e collettore di risorse economiche di cosche operative sul territorio di Reggio Calabria, coinvolte nelle lucrose attività delittuose a sfondo finanziario gestite in Lombardia e, segnatamente nel c.d. “Locale” di Desio (MB), dalla cosca di ‘ndrangheta allora capeggiata da Giuseppe Pensabene. Morgante era risultato agire quale finanziatore e, quindi, compartecipe alle iniziative finanziarie illecite che la consorteria milanese perpetrava su quel territorio, soprattutto di natura usuraia.
Morgante nel giugno 2015 era stato condannato in primo grado a sei anni e 10 mesi di reclusione, con la confisca di numerosi beni, dal Gup di Milano per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa alla pena . La sentenza, nel luglio 2016, veniva confermata dalla Corte di Appello di Milano. Nel settembre 2017, la Corte di Cassazione, pur annullando con rinvio limitatamente alla confisca dei beni, confermava la responsabilità penale del proposto. Con l’odierno provvedimento, il Tribunale – Sez. Misure di Prevenzione – di Reggio Calabria, ha ritenuto, ai sensi della normativa in tema di misure di prevenzione, l’imprenditore reggino portatore sia di pericolosità sociale qualificata che generica in quanto, da un lato gravemente indiziato di appartenenza alla ‘ndrangheta, dall’altro poiché soggetto che ha vissuto in tutto o in parte dei proventi di reati contro il patrimonio sin dalla fine degli anni 90.
Riguardo la parte patrimoniale, il Tribunale, ha ritenuto che il patrimonio del proposto e dei suoi stretti congiunti “debba ritenersi il frutto o il reimpiego di proventi di attività illecite in quanto direttamente ricollegabile (anche quale reinvestimento) alla accertata e risalente pericolosità sociale qualificata di Morgante, strettamente connessa alla sua attività imprenditoriale, e mai venuta meno”. Per il Tribunale, inoltre, le imprese del proposto sono ascrivibili nel genus dell’impresa mafiosa conseguendone che, il successo imprenditoriale del Morgante, sia da attribuirsi al pesante condizionamento esercitato nel territorio di riferimento dalla ‘ndrangheta, che, attraverso il metodo mafioso, gli ha assicurato illecitamente una posizione di preminenza sul mercato.
Complessivamente, il collegio giudicante ha disposto la confisca di attività aziendali e di numerosi beni personali, già sottoposti a sequestro di prevenzione nel marzo del 2018, concordando pienamente con le rigorose ed esaustive informazioni controdeduttive prodotte – in sede di contraddittorio con la parte – dalla DIA di Reggio Calabria efficacemente supervisionata e diretta dalla locale Procura Distrettuale.