Dall’8 al 28 luglio, alla Fabbrica 102 di Via Monteleone 36, si terrà l’evento “Rosa Fulgida”. Una mostra che, attraverso il contributo di 15 artisti siciliani, vuole omaggiare Santa Rosalia, Patrona di Palermo.
“Rosa fulgida” trae il titolo da un verso dell’Inno a Santa Rosalia. Gli artisti coinvolti nel rispetto della tradizione e della devozione che la città le tributa, assecondando ciascuno la propria sensibilità e la propria peculiare tecnica, si sono lasciati ispirare da storia e leggenda. Il risultato è un’immagine molteplice e fresca della Santa, icona antica e sempre attuale, presenza viva, amica ed alter-ego dei palermitani.
In occasione dell’inaugurazione della mostra – lunedì 8 luglio alle ore 19 – la regista e attrice Valeria Sara Lo Bue si farà cuntastorie leggendo “La Montagna”, racconto inedito scritto dal curatore, Benedetto Galifi.
A dedicare un’opera alla alla Santuzza saranno Igor Scalisi Palminteri, autore del celebre murales di San Benedetto il Moro, Antonio Fester Nuccio, che ha dipinto murales della metropolitana Lolli, le illustratrici Mariella Cusumano e Alessandra Di Paola.
E ancora le animatrici Valentina Lo Duca e Marianna Giuliana, l’artista catanese Ljubiza Mezzatesta, lo scultore Filippo Leto, i pittori Salvo Rivolo, Giuseppe Vitrano e Antonino Gaeta, gli artisti Sabrina Augugliaro, Sergio Barbara, Vincenzo Magro. Infine lo stesso Benedetto Galifi, scrittore, cultore delle tradizioni popolari, artista eclettico, che ha già curato varie mostre ed ha recentemente collaborato con la Fondazione Ignazio Buttitta.
L’esposizione, accompagnata da un’installazione musicale del chitarrista bagherese Francesco Maria Martorana, che prevede un arrangiamento del tradizionale Inno a Santa Rosalia, sarà visitabile tutti i giorni dalle ore 19 sino all’una di notte.
Il poeta Mario Luzi, nel suo Corale della città di Palermo per Santa Rosalia, fa rivolgere il popolo palermitano alla sua Patrona con queste parole: «Che santa, Rosalia! / La più grande che ci sia! / Nasce dalle sue ossa! / Principia dalla sua fossa!»
È innegabile, nonostante il culto della Santuzza fosse ampiamente attestato molto prima della inventio delle sue reliquie ( 1624), che il ricordo di lei era già da tempo caduto nell’oblio. La devozione vera e propria, infatti, è esplosa solo a partire dal ritrovamento dei suoi presunti resti umani sul Monte Pellegrino.
“Presunti” perché la storia ci offre un resoconto dettagliato di come le ossa rinvenute sul Monte Pellegrino non siano mai state attribuite con certezza alla giovane Santa. Inoltre, il Senato e la Curia di Palermo si sono visti letteralmente costretti a dichiarare come autentico quel mucchio di ossa. Ossa, peraltro, ritrovate dagli stessi palermitani che si erano messi a scavare tra le rocce della montagna.
Pertanto la legenda vede una redazione postuma di molti secoli rispetto all’epoca in cui la Santa sarebbe vissuta ( seconda metà del secolo XI). Solo nel 1620, infatti, il Gaetani ne elabora una biografia intessuta di notizie raccolte qua e là dalla tradizione per lo più orale.
Secondo queste notizie, Rosalia sarebbe stata ancella della Regina Margherita, moglie del re Guglielmo I, e quindi sarebbe vissuta tra il 1130 e il 1170. Abbandonati gli agi della corte, Rosalia avrebbe scelto l’eremitaggio, isolandosi in un monastero.
Una tempera su tavola (XII sec?) – prima testimonianza pittorica nella quale viene ritratta – ci mostra la Santa nelle vesti di monaca basiliana. Proprio questa tavola sarebbe stata fonte di conflitti tra i Francescani e i Gesuiti. I primi supponevano che Rosalia fosse appartenuta al loro Ordine. I Gesuiti sostenevano la teoria dei Benedettini e delle Basiliane.
Ciononostante, a prevalere fu l‘iconografia di Rosalia vestita d’un saio francescano, stesa tra le rocce del Monte, coronata di rose. Le roso sono l’elemento iconografico che trae origine dall’etimologia stessa del suo nome: Rosa-lilium (rosa e giglio).
Paradossale è come all’assenza di dati certi sull’esistenza terrena della Santuzza, ad una sua iconografia piuttosto recente e ad una certa mutevolezza e versatilità del Festino, si debba la libertà dei moltissimi artisti che durante i secoli si sono cimentati nella sua rappresentazione. Non di rado questi si sono concessi la licenza di raffigurarla sotto le più svariate vesti e nei più bizzarri modi. Mai trascurando, però, i tre elementi che la contraddistinguono nel pantheon cristiano: le rose, il teschio, il crocifisso.