Dopo trent’anni dalla repressione di piazza Tienanmen, il dipartimento di Stato americano chiede a Pechino di dichiarare quanti furono i manifestanti uccisi dai militari. Secondo gli Usa “le successive speranze di una società più aperta e tollerante in Cina sono svanite”, si legge ancora nel comunicato. “Lo stato monopartitico cinese non tollera il dissenso e viola i diritti umani secondo i propri interessi”. In particolare vengono citati i tentativi di “strangolare la cultura” della minoranza islamica degli uiguri.
Ancora oggi, ricorda il dipartimento di Stato, s’ignora il numero di manifestanti che furono uccisi a Tienanmen: “Esortiamo il governo cinese a fare un pieno e pubblico resoconto di quanti furono uccisi o risultano dispersi per dare conforto alle tante vittime di questo buio capitolo della storia“, continua il comunicato. Si chiede anche la liberazione dei dissidenti cinesi in carcere: “Salutiamo gli eroi del popolo cinese che si sollevarono coraggiosamente 30 anni fa a piazza Tienanmen per i loro diritti. Il loro coraggio esemplare è di esempio per le future generazioni”, scrive il dipartimento di Stato.
Piazza Tienanmen, gli Usa sfidano la Cina
Il comunicato ricorda anche “le coraggiose madri di Tienanmen” che non hanno mai spesso di chiedere che il governo renda conto della repressione. Ma dal canto suo la Cina ha espresso “grande insoddisfazione e ferma opposizione ” alla dichiarazione degli Stati Uniti. Il comunicato del dipartimento di Stato è “frutto di pregiudizio ed arroganza”, è la replica arrivata con una dichiarazione dell’ambasciata cinese a Washington.
La posizione di Washington è “un affronto al popolo cinese ed una grave violazione della legge internazionale e delle norme di base che regolano le relazioni internazionali”. “Il governo ed il popolo cinese hanno raggiunto il loro verdetto sull’incidente politico avvenuto tanto tempo fa alla fine degli anni ottanta” conclude la dichiarazione in cui si afferma che “in Cina si ha il miglior periodo di sempre per i diritti umani”.