La Guardia di Finanza di Torino e Asti ha denunciato 51 persone per il crac del Gruppo Marenco. Marco Marenco era il “re del gas” e l’ex patron dello storico e prestigioso marchio di cappelli “Borsalino”. Gli indagati sono ritenuti responsabili, a vario titolo, di una colossale bancarotta fraudolenta – seconda in Italia solo a quella di “Parmalat” – ai danni di 12 aziende del gruppo. Colpite aziende operanti nei settori dell’import-export di gas naturale e della produzione di energia elettrica.
Nel corso dell’inchiesta i finanzieri hanno sottoposto a sequestro preventivo beni per un valore complessivo pari a 107 milioni di euro. Le indagini, che hanno messo in luce un crac societario di oltre 4 miliardi di euro, nonché condotte distrattive per circa 1 miliardo e 130 milioni di euro. Gli illeciti ipotizzati nei confronti degli indagati sono reati tributari (quali la dichiarazione fiscale infedele, l’omesso versamento delle imposte, la sottrazione al pagamento delle accise), la truffa aggravata, l’appropriazione indebita, le false comunicazioni sociali e, soprattutto, la bancarotta fraudolenta aggravata.
Il grande crac del Gruppo Marenco
Secondo gli accertamenti dei Finanzieri, gli indagati hanno agito con l’unico scopo di distrarre e occultare somme, partecipazioni e beni aziendali in favore di imprese costituenti un mero schermo dell’imprenditore astigiano, spostando, in tal modo, tutte le attività patrimonialmente significative sotto il diretto e personale controllo di quest’ultimo. Le indagini hanno evidenziato , inoltre, che gli indagati impiegavano il denaro, le partecipazioni e i beni sottratti in operazioni infragruppo e successivamente trasferiti all’estero, mediante compravendite fittizie.
Le attività imprenditoriali esercitate dalle società nel frattempo indebitate o fallite venivano proseguite da nuove aziende, appositamente costituite e intestate ad amministratori e manager vicini all’imprenditore. Queste ultime, vere e proprie “scialuppe di salvataggio”, erano a loro volta controllate da numerose società estere che, come “scatole cinesi“, componevano il complesso sistema di frode. L’intera attività investigativa ha consentito di scoprire una “galassia” costituita da almeno 190 società, residenti nel territorio nazionale ed estero, legate da complesse catene partecipative, talvolta schermate mediante l’interposizione di aziende offshore situate in “paradisi fiscali”.
Un’inchiesta internazionale
Per ricostruire le condotte distrattive e individuare le numerose società estere coinvolte, si spiega, è stato necessario l’utilizzo di diversificati strumenti di indagine, fra i quali “particolarmente preziosa” è risultata l’attività di cooperazione internazionale – attivata anche per il tramite del II Reparto del Comando Generale della Guardia di Finanza – con numerosi Paesi esteri, comprese le Isole Vergini Britanniche, l’Isola di Man, Panama, Malta, Cipro, Liechtenstein e Lussemburgo.
Nel corso delle attività investigative è anche emerso che alcuni dei responsabili, al fine di eludere le indagini, utilizzavano dispositivi telefonici criptati e si avvalevano della collaborazione di pubblici ufficiali (anch’essi individuati e a vario titolo indagati per corruzione, favoreggiamento e accesso abusivo a sistemi informatici) “che garantivano a Marco Marenco e ai propri familiari servizi di sicurezza, oltreché il reperimento di notizie circa lo stato delle indagini”.