Approvata la legge più restrittiva d’America: l’obiettivo è bandire totalmente l’interruzione di gravidanza. La legge approvata ieri in Alabama, che lo vieta in quasi tutti i casi, è solo l’ultima di una serie di iniziative prese per spingere la Corte Suprema a bandire l’interruzione di gravidanza. La strategia usata, però, lascia intravedere un sistema che potrebbe essere adottato per erodere molti altri diritti, e cambiare i meccanismi della democrazia Usa.
Il testo votato consente l’interruzione di gravidanza solo nei casi in cui ci sia un «serio pericolo» per la sopravvivenza della madre. Nessuna eccezione per lo stupro e l’incesto. Le donne che violeranno la legge non verranno incriminate penalmente, ma i medici sì, e rischieranno fino a 99 anni di prigione. In altre parole, una ragazza stuprata sarà costretta a partorire, e se un dottore la aiuterà ad abortire riceverà l’ergastolo.
La legge ora è sul tavolo della governatrice repubblicana Kay Ivey, ma anche se decidesse di non firmarla, una maggioranza semplice basterebbe al parlamento locale per scavalcare il suo veto. Gli attivisti “pro choice” hanno già annunciato che faranno causa, come volevano i promotori dell’iniziativa.
Dall’inizio dell’anno ad oggi, sono 7 gli stati americani che hanno passato provvedimenti diversi per limitare o vietare le interruzioni di gravidanza. Oltre all’Alabama, lo hanno fatto Georgia, Mississippi, Arkansas, Kentucky, Utah e Ohio. L’obiettivo immediato è ridurre il più possibile gli aborti, ma quello finale è il bando. I promotori delle leggi infatti vogliono provocare le cause dei “pro choice”, nella speranza di arrivare fino alla Corte Suprema, dove la maggioranza conservatrice rafforzata da Trump con le nomine dei giudici Gorsuch e Kavanaugh potrebbe rovescire la sentenza Roe vs. Wade, che nel 1973 aveva legalizzato l’interruzione di gravidanza. Non sarà facile, ma le dimissioni del moderato Kennedy hanno aperto uno spiraglio. Se poi il presidente verrà rieletto, e potrà sostituire anche la liberal Ginsburg, il successo sarebbe a portata di mano.
Trump in passato aveva dichiarato di essere favorevole all’aborto, ma ora sostiene di aver cambiato posizione. Essere “pro life” per lui è indispensabile, se vuole che la sua base di evangelici e conservatori torni a votarlo l’anno prossimo.
L’operazione in corso però lascia intravedere un metodo che potrebbe essere replicato, per annullare altri diritti come quelli dei gay o delle minoranze, ma anche per scalfire le regole della democrazia americana. Un esempio che viene in mente è il braccio di ferro in corso tra la Casa Bianca e il Congresso, sui poteri di inchiesta che la Costituzione affida al Parlamento. Dopo la pubblicazione del rapporto Mueller sul Russiagate i democratici hanno aperto una serie di indagini, come peraltro avevano fatto i repubblicani durante la precedente amministrazione, ad esempio su Bengasi, che forse è costata la presidenza a Hillary Clinton per il caso email.
Trump ha risposto ordinando a tutti i suoi collaboratori di non cooperare, dicendo che il caso è chiuso. Anche se fosse così, in questo modo ha aperto una nuova disputa, non più sulla eventuale collusione col Cremlino, ma sul rapporto tra i poteri dello Stato. I democratici hanno già presentato alcuni ricorsi, e l’obiettivo immediato del presidente è perdere tempo e frenarli, almeno fino alle elezioni. Il problema che ha posto però è grave e di lungo termine, e forse lui spera che alla fine venga risolto in suo favore dalla Corte Suprema. Così le sue nomine dei giudici, a tutti i livelli, diventano l’elemento del mandato di Trump che probabilmente avrà l’impatto più concreto e duraturo sulla società americana.