Oggi ricorre il 41esimo anniversario dal ritrovamento del corpo dell’onorevole Aldo Moro, in una Renault 4 rossa in via Caetani, a Roma. Sono tante le domande ancora irrisolte su quella tragica e misteriosa morte. Una fra queste riguarda il luogo del ritrovamento del cadavere: perché proprio in via Caetani?
Era il 9 maggio 1978, una data che rimane impressa nelle mente di ogni italiano, sia di chi ha vissuto quegli anni scossi dall’attività delle Brigate Rosse, che di chi lo ha sentito raccontare. La morte del presidente della Democrazia cristiana venne annunciata da una telefonata del brigatista Valerio Morucci al professor Francesco Tritto, assistente di Moro.
Il cadavere di Moro in via Caetani
La via Caetani, a Roma, è una traversa di via delle Botteghe Oscure che si trova in senso opposto rispetto alla direzione che porta a piazza del Gesù. E’ probabile, infatti, che sia stata scelta perché verosimilmente molto vicina all’ultima prigione e al luogo dell’esecuzione di Aldo Moro. Gli assassini, inoltre, avrebbero potuto raggiungerla facilmente.
A dicembre 2018 si è conclusa la desecretazione degli atti della Commissione Parlamentare d’inchiesta della scorsa legislatura. Alcuni elementi convergenti portano a pensare, infatti, che l’ultima prigione di Aldo Moro si trovasse nelle immediate vicinanze di via Caetani.
Tra le testimonianze a favore, quella di monsignor Fabio Fabbri, braccio destro del cappellano capo delle carceri don Cesare Curioni, del magistrato genovese Luigi Carli. Inoltre anche gli appunti sulla ricostruzione di quei giorni trovati sui taccuini della giornalista Sandra Bonsanti e gli elementi forniti dal figlio dal sottosegretario Nicola Lettieri che gestì il comitato di crisi del Viminale durante i 55 giorni muovono in questa direzione.
La strage di via Fani
Tutto iniziò con la strage di via Fani, tra via Trionfale e via della Camiluccia a Roma. Il 16 marzo 1978, il presidente Aldo Moro si stava recando alla Camera dei deputati, dove quella mattina era previsto il voto di fiducia per il quarto governo presieduto da Giulio Andreotti.
Ma il presidente della Dc non ci arrivò, né la sua scorta. Un numero ancora imprecisato di brigatisti fermò l’auto su cui viaggiava Moro e in soli 3 minuti vennero sparati più di 100 colpi. Gli uomini della scorta – Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Raffaele Iozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi – morirono tutti. Moro invece venne prelevato e spostato su una Fiat 132 blu. Da allora iniziarono i 55 giorni che lasciarono l’Italia con il fiato sospeso, fino all’annuncio della morte.
La difficile trattativa
Il gruppo terroristico delle Brigate Rosse non tardò a rivendicare il sequestro. “Questa mattina – scrissero all’Ansa – abbiamo sequestrato il presidente della Democrazia cristiana, Moro, ed eliminato la sua guardia del corpo, teste di cuoio di Cossiga. Seguirà comunicato. Firmato Brigate rosse“.
Da quel momento iniziò un periodo buio nella storia d’Italia: Roma venne blindata, il paese si divise tra chi voleva trattare con i terroristi e chi si oppose. Presto seguirono altri comunicati da parte delle Brigate Rosse. In tutto furono 9 in quei 55 giorni di fiato sospeso, in uno si leggeva la motivazione del sequestro.
“Chi è Aldo Moro è presto detto: dopo il suo degno compare De Gasperi, è stato fino a oggi il gerarca più autorevole, il teorico e lo stratega indiscusso di questo regime democristiano che da trenta anni opprime il popolo italiano”. Era il primo comunicato, diffuso il 18 marzo.
La condanna di Moro
Con il resto dei comunicati dei brigatisti e le 86 lettere inviate dallo stesso Moro, in cerca di una trattativa per la salvezza, l’Italia si divise ancora di più. A nulla servirono le richieste del presidente rapito ad amici, familiari, parenti, colleghi e allo stesso papa Paolo VI – suo amico personale – per favorire il rilascio.
Nel comunicato numero 8, i brigatisti proposero uno scambio: il dissequestro di Moro in cambio della liberazione di alcuni terroristi in carcere in quel momento. Fu il momento più difficile per l’Italia.
Da un lato la Democrazia Cristiana, i socialdemocratici, i repubblicani e liberali che escludevano ogni forma di trattativa che avrebbe dato un riconoscimento politico alle Brigate Rosse, dall’altro i possibilisti con in testa il socialista Craxi.
E il comunicato numero 9, l’ultimo, fu quello decisivo, quello che firmò la sentenza di morte di Moro a causa dello Stato, “colpevole” di non aver accettato lo scambio proposto.
Il ritrovamento del corpo
“Lei deve comunicare alla famiglia che troveranno il corpo dell’on. Aldo Moro in via Caetani. Lì c’è una Renault 4 rossa. I primi numeri di targa sono N5″. Sono state queste le parole con cui Morucci avvisò Tritto in una telefonata del 9 maggio 1978.
Fu la fine del compromesso storico, l’accordo voluto proprio dal presidente delle Democrazia cristiana con il Partito comunista. Iniziarono i processi ai brigatisti, che rimasero convinti di portare avanti una guerra giusta e si dichiararono prigionieri politici davanti ai giudici.
Quei misteriosi 55 giorni
Rimangono ancora molti misteri sui 55 giorni di sequestro di Aldo Moro. Non si conosce ancora bene il luogo in cui fu tenuto prigioniero, per esempio, anche se i brigatisti raccontarono di averlo lasciato sempre nello stesso appartamento di via Montalcini 8, nel quartiere Portuense.
Di contro si è ipotizzato che il presidente sia stato spostato in diverse zona della città, più isolate e vicine alla costa ma non c’è mai stata una conferma da testimonianze e interrogatori.