La Sicilia è terra di tartufi ma in pochi lo sanno. Il sottosuolo siciliano è ricco di pepite di tartufo, ma come spesso succede noi siciliani riusciamo con mirabile abilità a trascurare e sottovalutare ciò che in altri posti diventa un simbolo in grado di produrre benessere.
È difficile che parlando di questo prezioso prodotto del sottosuolo venga in mente la Sicilia, vengano in mente i monti Iblei o i Nebrodi di cui i boschi sono ricchi. La Sicilia è una delle regioni d’Italia a maggiore vocazione tartufigena ma in pochissimi lo sanno.
In Sicilia sono facilmente reperibili le seguenti specie di tartufi:
Il tartufo potrebbe rappresentare una piccola svolta per l’economia siciliana, in primis il governo regionale, per cui sembra che il tartufo in Sicilia non esista nemmeno e che non ha mai avviato attività per incentivare e rendere produttivo il settore legato alla ricerca e commercializzazione del tartufo. Oggi però sembra che qualcosa stia iniziando a cambiare; da qualche mese, su iniziativa di alcune associazioni micologiche del territorio la regione Sicilia è stata sollecitata a stilare un disegno di legge che ponga le basi per far sì che l’attività di ricerca ed estrazione dei tartufi venga regolamentata.
La regolamentazione dell’attività di estrazione, ma anche di coltivazione del tartufo, posta in essere dalla Regione Sicilia, che ha finalmente deciso di dotarsi di una normativa che regolamenti il settore tartufigeno, sarà la base da cui potranno partire molte attività economiche, che possono coinvolgere non solo il settore agroalimentare, ma anche quello turistico; la regione Sicilia sta dunque muovendo i primi passi verso quella che potrebbe diventare una importante realtà produttiva siciliana.
Alberto Capizzi ha incontrato alcuni esperti che da anni si occupano di tartufi in Sicilia: il micologo Arturo Bucchieri, il micologo e cavatore Mario Prestifilippo e gli chef Domenico Pipitone e Andrea Davì. A loro ha rivolto alcune domande sul tubero più prezioso al mondo.
I Tartufi siciliani sono una realtà che va oltre l’immaginazione?
“Se mi avessero fatto la stessa domanda 20 anni fa – ha detto il micologo Mario Prestifilippo -, quando ho cominciato a cercare tartufi in Sicilia, avrei risposto che da noi c’è poco tartufo e solo in determinate zone. Adesso invece, dopo anni e anni di ricerca, posso affermare che è una realtà molto presente e che ancora può dare molte sorprese, anche perché alcune zone del messinese devono essere ancora censite.
“La Sicilia – ha detto il micologo Arturo Bucchieri – può essere divisa in più parti, anche in rapporto al tipo di terreno che per il tartufo deve essere essenzialmente calcareo: la zona orientale con le province di Siracusa e Ragusa ricchissime di Tuber Aestivum (corzone) e di Tuber Borchii (bianchetto). Buona quantità di Tuber Brumale e piccole quantità di Tuber Uncinatum e Melanosporum, oltre a grosse quantità di tuber non commerciabile, come il Panniferum, l’Excavatum, il Rufum e diversi tipi Genea”.
“La zona occidentale con i monti Sicani ricchi di Tuber Aestivum e Tuber Borchii. La provincia di Trapani con buone quantità di Borchii ed Aestivum nella zona di Castellamare, e Alcamo. La zona di Palermo con Partinico, Cinisi, Ficuzza (per il brumale), Godrano (per il Borchii). La zona delle Madonie per l’Aestivum e il Brumale.
La zona dei Nebrodi con buone quantità di Tuber Aestivum varietà Uncinatum e Brumale. Poco ancora si conosce del messinese e dei Peloritani”, ha poi specificato Bucchieri.
“In Sicilia il tartufo è presente tutto l’anno – ha risposto Prestifilippo – e dipende dalle piogge, dalle temperature e dalle altitudini. Da gennaio a aprile il Tuber Borchii; da maggio ad agosto il Tuber Aestivum; da settembre a dicembre il Tuber Uncinatum, Moschatum, Mesentericume Brumale”.
“Tutto questo dal punto di vista teorico – ha precisato il micologo -; basta una stagione con scarse piogge o scirocco forte e il tutto non ha valore. In Sicilia c’è stato un solo ritrovamento documentato di Tuber Magnatum (bianco d Alba) nella zona di Piazza Armerina; da allora non ci sono state più notizie di altri ritrovamenti”.
“Non ci sono differenze sostanziali tra il nostro tartufo e quello del nord – ha detto Bucchieri -, considerato sempre che non si possono fare paragoni tra il Tuber Magnatum perché quasi inesistente e il Melanosporum nostrano (pochissime quantità). Forse il nostro tartufo (Borchii, aAestivum) è più profumato, in quanto essendoci da noi minore quantità di piogge, più concentrata è la quantità di sostanze volatili e quindi il tartufo risulta più profumato.
Perché fino ad oggi c’è stato così poco interesse nei confronti del tartufo siciliano?
“Solo negli ultimi cinque anni si è avuto un incremento di persone che vanno con i cani a cercare tartufi – ha detto Prestifilippo – e il poco interesse è stato determinato anche dalla mancanza di conoscenza del prodotto locale che ha determinato una scarsa richiesta. Adesso invece si sta mostrando un incremento maggiore rispetto a prima, perché maggiore è il numero dei cuochi che lavora il tartufo”.
“Gli chef che lavoravano il tartufo erano pochi – ha continuato – e gli stessi preferivano comprarlo al nord, con la scusa che il nostro non aveva gli stessi profumi. Nella realtà molti usano solo il bianco d’Alba (anche se poi viene dalla Croazia o dalla Romania), perché non riescono a valorizzare il nostro in quanto non lo sanno usare. Per non parlare poi di alcuni cavatori locali (che a volte non hanno neanche i cani, ma vendono tartufi) che comprano tartufi da altre località d’Italia e poi li immettono sul mercato locale dicendo di averli cavati in zona o dei furbetti delle sagre e delle mostre che comprano il tartufo fuori e lo rivendono come siciliano”.
“Purtroppo – ha risposto Bucchieri – , fino a quando non ci sarà una legge che tuteli le persone corrette, ci saranno sempre individui di dubbia moralità che spacceranno per locali tartufi che magari vengono dalla Cina e ci saranno chef che compreranno il tartufo immaturo e senza profumo in periodi in cui è vietata la commercializzazione, tanto poi lo faranno profumare con prodotti di sintesi (bismetiltiometano)”.
“Il 2 aprile 2019 – ha raccontato Prestifilippo – è stata presentata una proposta di legge alla Assemblea Regionale Siciliana e siamo in attesa di sviluppi, con la speranza che i nostri onorevoli, finita la corsa alle europee, non la mettano nel dimenticatoio”.
“Il tartufo siciliano sarebbe in grado di alzare il Pil dell’isola con un progetto strategico che coinvolgerebbe i principali attori dell’economia territoriale in grado di proporre tutto l’anno iniziative legate alle peculiarità del territorio, dall’enogastronomia al turismo leisure, dalla cultura all’artigianato”. Lo ha spiegato lo chef Domenico Pipitone.
“Attualmente parlare in termini economici dell’industria del tartufo in Sicilia è prematuro – ha spiegato lo chef Andrea Davì -, ma considerando che il business nazionale è sui 500 milioni di euro, crediamo che possa essere per la nostra isola un volano in termini di incoming turistico e di ampliamento del piano occupazionale”.
“Decisamente si – hanno risposto gli chef -. Dal nostro background ristorativo nazionale ed internazionale, possiamo dire che la qualità del tartufo siciliano è veramente pregevole, trovando il giusto connubio con le eccellenze della nostra splendida isola”.
Vi proponiamo:
Battuta di asina siciliana con asparagi, provola affumicata delle Madonie, miele millefiori di ape nera sicula e tartufo nero brumale dei Nebrodi.
Risotto con gambero rosso di Mazara del Vallo, pistilli di zafferano ennese, ortica selvatica e tartufo bianchetto delle Madonie.
Filetto di alalunga scottata su crema di borragine e tartufo nero scorzone dei Monti Sicani.
Intervista a cura di Alberto Capizzi.