Gli sfollati in Libia angosciano il premier Giuseppe Conte. In due settimane di combattimenti si registrano almeno 225 morti, tra cui 70 bambini e 40 donne. E per il premier Conte – riporta Tgcom – “il rischio di crisi umanitaria è concreto”. Intanto i militari fedeli al governo di Sarraj resistono all’avanzata delle milizie di Haftar. La riconquista di Azizia, cittadina a sud di Tripoli, non può però segnare una svolta definitiva.
Il premier italiano ha precisato che, al momento “non emerge un quadro di imminente pericolo per quanto riguarda le possibili conseguenze sui flussi migratori verso l’Italia”. Resta invece alta l’attenzione, “anche attraverso i servizi di intelligence”, ha aggiunto Conte, per il potenziale “rischio di recrudescenza del fenomeno terroristico”.
Sul piano militare dopo che l’esercito del governo di Sarraj, sembrava aver bloccato l’avanzata delle milizie di Haftar. È però arrivata la controffensiva di Bengasi. Nella serata di giovedì le milizie di Haftar hanno infatti bombardato le zone di Khalet Elfurjan e Ain Zara. Le violente esplosioni sono state distintamente avvertite a Tripoli. Secondo alcuni osservatori, Haftar si starebbe preparando all’attacco finale per l’ingresso nella capitale.
Per questo motivo Tripoli invoca un concreto sostegno della comunità internazionale. In questo quadro si inserisce la rottura tra il governo Sarraj e Parigi, accusata di sostenere Haftar e fomentare la guerra. “Qualsiasi relazione con la parte francese nell’ambito degli accordi bilaterali nel campo della sicurezza si fermerà”, ha annunciato infatti il ministero dell’Interno.
Parigi, da parte sua, ha smentito categoricamente di sostenere Haftar. Sarebbero “accuse infondate” perché la Francia “in diverse occasioni ha espresso il sostegno al governo legittimo del primo ministro Sarraj e alla mediazione dell’Onu per una soluzione politica inclusiva”.
Conte ha inviato più di un messaggio a Parigi, tornando a ribadire che “l’unica soluzione possibile della crisi è quella politica” e che “non ci sono interessi economici o geopolitici che possano giustificare scorciatoie militari”.