Michela Murgia risponde alle offese che il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, le ha rivolto su Twitter. Il vicepremier della Lega ha definito la scrittrice “un’intellettuale radical chich”. Lei prende in mano la situazione e rilancia con il gioco della “sinossi dei curriculum”.
Ecco il tweet di Matteo Salvini.
Gli “intellettuali” radical-chic italiani non si smentiscono mai: primi al mondo per spocchia, poi si stupiscono che la gente non li voti più.https://t.co/vaeOnemJtW
— Matteo Salvini (@matteosalvinimi) 16 aprile 2019
Michela Murgia risponde alle offese di Salvini: “Io ho lavorato, e lei ministro?”
Sul suo profilo Facebook, Michela Murgia risponde alle offese di Matteo Salvini con il gioco della “sinossi dei curriculum” e mette a confronto, passo dopo passo, le esperienze formative e lavorative di entrambi. “Ieri – scrive – il ministro degli interni Matteo Salvini ha pensato bene di fare l’ennesimo tweet contro di me virgolettandomi come intellettuale radical chic e snob. È il suo giochetto preferito quello di far passare chiunque lo critichi per un ricco altolocato che non ha contatto con la gente e con la realtà, che non conosce i problemi veri e che non sa cosa sia la fatica del lavoro, ambiti in cui lui invece si presenta come vero esperto. Le propongo un gioco, signor Ministro: si chiama “sinossi dei curriculum”“.
Ecco che parte il confronto con quello che sembra quasi un elenco puntato. “Nel 91 – scrive Michela Murgia -, anno in cui mi diplomavo come perito aziendale, mi pagavo l’ultimo anno di studi lavorando come cameriera stagionale in una pizzeria. Purtroppo feci quasi due mesi di assenza perché la domenica finivo di lavorare troppo tardi e il lunedì mattina non sempre riuscivo ad alzarmi in tempo per prendere l’autobus alle 6:30 per andare a scuola. A causa di quelle assenze, alla maturità presi 58/60esimi”.
Si passa poi all’anno successivo. “Nel 92 – continua -, mentre lavoravo in una società di assicurazioni per sostenermi gli studi all’istituto di scienze religiose, lei prendeva 48/60 alla maturità classica in uno dei licei di Milano frequentati dai figli della buona borghesia. Sono contenta che non abbia dovuto lavorare per finire il liceo. Nessuno dovrebbe”.
Iniziano poi le esperienze lavorative. “Nel 93 iniziavo a insegnare nelle scuole da precaria, lavoro che ho fatto per sei anni. Nel frattempo lei veniva eletto consigliere comunale a Milano e iniziava la carriera di dirigente nella Lega Nord, diventando segretario cittadino e poi segretario provinciale. Non avendo mai svolto altra attività lavorativa, è lecito supporre che la pagasse il partito. Chissà se prendeva quanto me, che allora guadagnavo 900 mila lire al mese”.
“Nel 1999 per vivere – continua – consegnavo cartelle esattoriali a domicilio con un contratto co.co.pro. Ero pagata 4mila lire a cartella e solo se il contribuente moroso accettava di firmarla. Lei invece prendeva la tessera giornalistica facendo pratica alla Padania e a radio Padania, testate di partito che si reggevano sui finanziamenti pubblici, ai quali io non ho nulla in contrario, ma contro i quali lei ha invece costruito la sua retorica”.
“Nel 2000 ho iniziato a lavorare in una centrale termoelettrica – spiega Michela Murgia nel suo post su Facebook -, dove sono rimasta fino al 2004. Mi sono licenziata perché ho scelto di testimoniare in tribunale contro il mio datore di lavoro per un grave caso di inquinamento ambientale. Mentre lasciavo per coscienza l’unico lavoro stabile che avessi trovato vicino a casa, lei era segretario provinciale della lega Nord, suppongo sempre pagato dal partito, dato che anche allora non faceva mestieri”.
La scrittrice è anche costretta a lasciare la sua terra in cerca di lavoro. “Nel 2004 ho lasciato la Sardegna – dice – per lavorare come cameriera in un albergo al passo dello Stelvio, in mezzo alla neve, con un contratto stagionale a poco più di mille euro. Mentre io da precaria rifacevo letti lei si faceva eleggere al parlamento europeo a 19.000 euro al mese”.
Con massima precisione continua il confronto tra i due curricula. “Nel 2005 ho lavorato un mese e mezzo in un call center – racconta Michela Murgia – vendendo aspirapolveri al telefono ed ero pagata 230 euro lordi al mese più 8 euro per ogni appuntamento che riuscivo a fissare. Durante quella esperienza ho scritto un blog che ha attirato l’attenzione di un editore. Nello stesso periodo lei a Bruxelles bruciava un quarto delle sedute del parlamento ed era già lo zimbello dei parlamentari stranieri, che nelle legislature successive le avrebbero poi detto in faccia quanto era fannullone. Io sono a favore della retribuzione dei politici, purché facciano quello per cui li paghiamo”.
Arriva poi il successo editoriale. “Nel 2006 – dice la scrittrice -, mentre usciva il mio primo libro, io facevo la portiera notturna in un hotel, passando le notti in bianco per lavorare e riuscire anche a scrivere. Lei invece decadeva da deputato, ma atterrava in piedi come vicesegretario della lega nord e teneva comizi contro i terroni e roma ladrona. Non facendo ancora altro mestiere che la politica, immagino che la politica le passasse uno stipendio. Chissà se somigliava al mio, che per stare sveglia mentre gli altri dormivano prendevo appena più di mille euro al mese”.
E ancora: “Dal 2007 in poi ho vissuto delle mie parole, della fiducia degli editori e di quella dei lettori e delle lettrici. Negli stessi anni lei ha campato esclusivamente di rappresentanza politica e da dirigente in un partito da dove – tra il 2011 e il 2017 – sono spariti 49 milioni di soldi pubblici senza lasciare traccia”.
La conclusione della risposta di Michela Murgia a Matteo Salvini contiene parole dure e dirette. “Se adesso le è chiaro con chi è che sta parlando quando virgoletta il mio nome nei suoi tweet – spiega la scrittrice -, forse le sarà altrettanto chiaro che è lei, signor Ministro, quello distaccato dalla realtà. Tra noi due è lei quello che non sa di cosa parla quando parla di vita vera, di problemi e di lavoro, dato che passa gran tempo a scaldare la sedia negli studi televisivi, travestirsi da esponente delle forze dell’ordine e far selfie per i social network a dispetto del delicatissimo incarico che ricopre a spese dei contribuenti”.
“Lasci stare il telefonino e si metta finalmente a fare il ministro, invece che l’assaggiatore alle sagre. Io lavoro da quando avevo 14 anni e non mi faccio dare lezioni di realtà da un uomo che è salito su una ruspa in vita sua solo quando ha avuto davanti una telecamera”.