Una terapia genica cura 8 bimbi affetti da una malattia rara. Una nuova vittoria italiana dopo lo storico traguardo messo a segno contro la malattia dei ‘bimbi in bolla’ Ada-Scid.
Otto bambini colpiti da sindrome di sindrome di Wiskott-Aldrich (Was) sono stati curati con successo a Milano e ora “tutti stanno bene”. La Was è patologia genetica rara e potenzialmente fatale che colpisce le cellule del sangue.
L’annuncio arriva dall’Istituto San Raffaele Telethon per la terapia genica Sr-Tiget. Su ‘Lancet Haematology’, infatti, ha pubblicato uno studio in cui il trattamento che corregge il difetto del Dna all’origine della malattia si è dimostrato “efficace e sicuro”. I bimbi, spiegano dal San Raffaele all’AdnKronos Salute, “all’avvio del trattamento avevano un’età compresa fra 1 e 12 anni”. Diverse le nazionalità dei piccoli, da “Italia, Turchia, Stati Uniti, Russia, Romania e Albania”.
La ricerca è stata possibile grazie all’alleanza “strategica e innovativa” tra San Raffaele, Fondazione Telethon e GlaxoSmithKline. A questa nel 2018 è subentrata Orchard Therapeutics, ricordano dall’Irccs del gruppo ospedaliero San Donato. Il risultato è stato raggiunto dopo “oltre 20 anni di ricerca d’avanguardia” svolta nei laboratori di via Olgettina su diverse patologie fra cui la Was.
Questa sindrome è causata da una singola mutazione nel gene che codifica per la proteina Wasp. Inoltre si manifesta perlopiù a livello di piastrine e cellule del sistema immunitario, che sono presenti in numero ridotto e funzionano male. Lo studio è stato coordinato da Alessandro Aiuti, professore di Pediatria all’università Vita-Salute San Raffaele e vice direttore del Sr-Tiget presso l’Irccs ospedale San Raffaele del capoluogo lombardo.
“Continue emorragie, rischio maggiore di infezioni, tumori e malattie autoimmuni e infiammatorie, presenza cronica di eczemi diffusi sulla pelle” sono i sintomi della Was per la quale “ad oggi l’unica soluzione disponibile, benché non per tutti e con tutti i rischi associati, è il trapianto di midollo da donatore”.
Nel loro protocollo sperimentale, invece, gli scienziati hanno prelevato le cellule staminali del sangue dai pazienti. Usando come vettore un virus della famiglia dell’Hiv, hanno inserito al loro interno la versione corretta del gene Wasp. Rendendole così in grado, una reinfuse, di differenziarsi in piastrine e globuli bianchi sani.
Risultato: “Tutti i pazienti coinvolti nel trial clinico, il primo trattato nel 2010 e l’ultimo nel 2015, stanno bene – afferma Aiuti – e non presentano più le continue infezioni, i disturbi autoimmuni e infiammatori o le gravi emorragie associate alla malattia. Il loro sistema immunitario è tornato a funzionare e produrre anticorpi. Il numero delle piastrine è aumentato considerevolmente e, anche se rimane inferiore alla norma, consente ai pazienti di fare una vita normale”.
Per inserire correttamente il gene sano nelle cellule malate, i ricercatori hanno utilizzato dunque un cosiddetto vettore lentivirale. Si tratta di un virus della famiglia di quello dell’Aids, appunto, modificato e reso innocuo in laboratorio. L’idea è quella di sfruttare la naturale capacità dei virus di penetrare nelle cellule e riversare al loro interno il materiale genetico che contengono, sfruttandoli cioè come ‘postini’ smart, “veri e propri mezzi di trasporto intelligente” per ‘recapitare’ la terapia.
“Nelle cellule – precisa la pediatra Francesca Ferrua, prima firmataria della pubblicazione, insieme a Maria Pia Cicalese – oltre al gene viene inserito anche un suo promotore naturale, il cui compito è controllarne la sintesi in proteina. Questo fa sì che le cellule del paziente, una volta trattate, producano la proteina Wasp nella quantità giusta, in modo fisiologico. Questo aspetto è fondamentale per ridurre al minimo il rischio di qualsiasi tipo di effetto collaterale”.
Dopo il nuovo studio finanziato da Fondazione Telethon, quali saranno i prossimi passi? “E’ iniziato da poco un nuovo studio clinico – riferisce Aiuti – che prevede il congelamento delle cellule staminali dopo la loro modifica con i vettori virali. Questo aprirebbe la possibilità di trattare i pazienti in ospedali distanti rispetto ai laboratori dove vengono curate le cellule, attraverso la spedizione del materiale biologico dopo averlo opportunamente congelato. Una possibilità che nel prossimo futuro consentirebbe – questa è la speranza degli scienziati milanesi – di allargare e semplificare l’accesso a questo tipo di terapie”.