“Sono pronta a lasciare l’incarico in anticipo pur di assicurare una Brexit ordinata“: sono le parole con cui Theresa May si è rivolta oggi ai deputati del gruppo Tory riuniti nel comitato 1922, stando a fonti citate da SkyNews. La premier, secondo le attese, ha in sostanza formalizzato l’intenzione di dimettersi prima del previsto in cambio d’un via libera della sua rissosa maggioranza all’accordo di divorzio dall’Ue già bocciato due volte ai Comuni. Le fonti non citano peraltro l’indicazione di una data precisa.
Sono ben 8 le proposte parlamentari di piano B sulla Brexit alternative all’accordo di Theresa May ammesse dallo speaker John Bercow al voto indicativo ai Comuni. Una varietà che rischia di produrre “confusione” e “tempi lunghi” secondo Norman Smith, della Bbc, e che comprende opzioni di Brexit più soft (con permanenza nell’Unione doganale o nel mercato unico); più hard (modello ‘trattato di libero scambio col Canada’ o con uscita no deal ‘gestita’); ma anche di un secondo referendum o di revoca del divorzio da Bruxelles.
Intanto Theresa May considera ancora il suo accordo di divorzio la migliore soluzione per “attuare il risultato del referendum sulla Brexit” nel quale “una maggioranza di 17,4 milioni di persone” votò a favore dell’uscita dall’Ue. Le proposte di un piano B porterebbero invece solo “a un rinvio, a un incertezza” e forse a impedire la Brexit, ha detto la premier Tory nel Question Time alla Camera dei Comuni rispondendo al leader dell’opposizione laburista, Jeremy Corbyn, e a un deputato indipendentista scozzese (Snp).
Sul versante europeo il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, ha affermato che il vertice della scorsa settimana a Bruxelles “non è stato l’ultimo prima delle elezioni europee” ed “è molto probabile” che “ci incontreremo ad aprile per discutere di Brexit” e “sicuramente a Sibiu” in Romania “il 9 maggio per discutere la nostra strategia a lungo termine dell’Ue”.
Il governo britannico ha intanto formalmente rigettato la petizione in favore della revoca dell’articolo 50, e quindi della Brexit, che ha si è chiusa con il sostegno record di 5,8 milioni di firme e che sarà discussa (senza voto) lunedì in Parlamento. Un numero “considerevole”, ha riconosciuto il ministero per la Brexit, ma che non cancella la volontà maggioritaria pro-Leave espressa nel referendum del 2016 “da 17,4 milioni di elettori”, né la “fermezza politica del governo di onorarne” il risultato.