17 persone indagate, tra boss e affiliati a cosche mafiose e di ‘ndrangheta, per l’omicidio del sostituto procuratore generale della Corte di Cassazione Antonino Scopelliti, ucciso il 9 agosto del 1991 a Villa San Giovanni mentre faceva rientro a Campo Calabro. Tra gli indagati dalla Procura distrettuale di Reggio Calabria figura anche il boss latitante Matteo Messina Denaro.
Delle diciassette persone indagate dal procuratore Lombardo sette sono siciliane (Matteo Messina Denaro, Marcello D’Agata, Aldo Ercolano, Eugenio Galea, Vincenzo Salvatore Santapaola, Francesco Romeo e Maurizio Avola) e dieci calabresi (Giuseppe Piromalli, Giovanni e Pasquale Tegano, Antonino Pesce, Giorgio De Stefano, Vincenzo Zito, Pasquale e Vincenzo Bertuca, Santo Araniti e Gino Molinetti).
L’omicidio di Scopelliti
Il sostituto procuratore generale della Cassazione stava completando il lavoro iniziato da Giovani Falcone e Paolo Borsellino. Mentre era in auto venne affiancato da due persone a bordo di una moto che aprirono il fuoco e fecero finire il veicolo fuori strada. Il commando entrato in azione la sera del 9 agosto 1991 sarebbe stato composto sia da calabresi sia da siciliani e avrebbe utilizzato un fucile calibro 12 ritrovato nelle campagne siciliane proprio grazie alle indicazioni di Avola, pentito che ha già confessato quasi un centinaio di omicidi, compreso quello del giornalista Giuseppe Fava.
Il contributo dei collaboratori di giustizia
Dietro quello che subito apparve come un delitto su commissione ci sarebbe stata un’alleanza mafia-‘ndrangheta. Come ricostruito dall’inchiesta della Dda di Reggio Calabria nella quale sono indagati boss siciliani e calabresi andata avanti anche grazie al contributo del pentito catanese Maurizio Avola. Un altro collaboratore, Francesco Onorato, nel processo “‘ndrangheta stragista” aveva riferito che Scopelliti fu ucciso dalle ‘ndrine per fare un favore a Totò Riina timoroso della sentenza di Cassazione sul maxiprocesso a Cosa nostra.