Dai 30 anni richiesti dal pm ai 16 concessi con le attenuanti generiche per l’uccisione della moglie Jenny Reyes. Silvia Carpanini, il giudice del Tribunale di Genova che ha ridotto la pena all’ecuadoriano Javier Gamboa, spiega: “Le regole del diritto sono una cosa, le emozioni dell’opinione pubblica un’altra. Anche un assassino può fare compassione, – aggiunge. – Quella donna lo aveva umiliato più volte”.
“Ho applicato le norme – afferma il giudice – ma c’è omicidio e omicidio; tutti commentano le sentenze, in pochi conoscono sul serio i processi nei dettagli. Ribadisco: ci sono delitti che sono ‘meglio’ altri che sono ‘peggio’. L’imputato – spiega Carpanini – aveva già lasciato quella donna, era tornato in Sudamerica esasperato che lei avesse una vita extraconiugale intensa, per lui umiliante. La ex lo ha supplicato di riprovarci e gli ha pagato il biglietto aereo, ma all’uomo è stato chiaro che persino la notte precedente l’amante aveva dormito con sua moglie, sebbene lei avesse fornito tutt’altre rassicurazioni”.
Il giornalista chiede al giudice se fosse comunque sufficiente per giustificare il suo gesto: “No, tant’è che Gamboa ha preso sedici anni e mi pare che nella sentenza sia rimarcata più volte la gravità del gesto. Semmai, quel che ha patito è sufficiente a compensare le aggravanti”.
Il killer quindi faceva pena? “Ha vagato per un paio di notti, si è lasciato catturare: per certi aspetti sì, faceva pena. Non ha premeditato per giorni il suo raid, non ha infierito con trenta coltellate come mi è capitato di vedere in altre occasioni molto più truculenta. La legge prevede massimi e minimi di pena – conclude Carpanini, – altrimenti per un omicidio faremmo sentenze fotocopie: ergastolo o 30 anni, a prescindere dalla storia. Sarebbe più giusto?”.