Grasso è bello, grasso è ricco e nobile. Su quest’assunto si basa la pratica del gavage, conosciuto anche come leblouh o el leila, che ancora oggi miete tante vittime in Mauritania. “Maggiore è lo spazio che una donna occupa sul tappeto, più grande è lo spazio che occupa nel cuore del suo innamorato”, è la regola proverbiale che vige nello stato africano, dove una donna, fin dalla tenera età, è costretta ad ingozzarsi di cibo per sembrare più bella agli occhi del futuro marito e della sua famiglia.
Una donna magra è una vergogna per la famiglia d’origine che teme l’etichetta sociale delle povertà e dell’indigenza. A imporre, dai 5 ai 19 anni d’età (e talvolta anche in una sola notte), dieci pasti al giorno, tazze di latte zuccherato ingoiato a forza nella notte, festini (i wengala) a base di cibo sfrenato e ormoni per aumentare il peso, un’altra donna, la madre. Mortificazione, dunque, del corpo per un ideale di bellezza inarrivabile e che si oppone al modello occidentale che fa dell’estrema magrezza, invece, il simbolo dell’assoluta bellezza.
L’ingrasso forzato della tradizione mauritana è al centro della pellicola di Michela Occhipinti, “Il corpo della sposa – Flesh out”, presentato alla Berlinale 2019 nella sezione Panorama. Verida, la protagonista, interpretata dall’esordiente Verida Beitta Ahmed Deiche, non è ancora abbastanza grassa per l’uomo che sposerà e deve sopportare, a costo di nausee e soprusi, l’obbligo di ingrassare di 20 kg, per arrivare, in soli tre mesi, ai 100 kg programmati.
Una violenza fisica e psicologica che non si discosta poi così tanto dai digiuni estremi da contrappeso ad allenamenti altrettanto estremi o all’eccesso di chirurgia estetica nei Paesi occidentali. E’ la stessa donna che, pur di vedere riflesso allo specchio ciò che la società le impone e si aspetta da lei, tortura il suo corpo e forza la sua mente. Fino a quando però non si ribella al modello imposto e rivendica la sua identità. E’ questo il tema del film “Il corpo della sposa” di Michela Occhipinti che avvicina due culture diverse con una problematica comune.
E lo fa ambientando la storia di Verida in una società che si apre alla modernità in contrasto con la tradizione. C’è da dire che il rituale del gavage, che risale all’XI secolo, adesso è marginalizzato alle società tribali del deserto e solo il 20% delle donne in Mauritania sono costrette all’ingrasso forzato. Le altre invece lo scelgono volontariamente.