Un filo rosso lega la serotonina, ovvero la cosiddetta molecola della felicità, e la sindrome maniacale. Lo ha scoperto uno studio tutto italiano pubblicato su Scientific Reports, che ha mostrato l’esistenza di un legame causale fra la riduzione dei livelli di serotonina nel cervello e l’insorgenza del disturbo bipolare. Lo studio è stato condotto da Massimo Pasqualetti del dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa, Alessandro Usiello dell’Università della Campania e del Ceinge di Napoli e Chiara Mazzanti della Fondazione Pisana per la Scienza. La ricerca ha inoltre coinvolto competenze di elettrofisiologia e imaging funzionale delle équipe guidate da Alessandro Gozzi dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Rovereto e da Raffaella Tonini dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova.
Felicità e sindrome maniacale, esiste un legame
“Il nostro studio ha permesso di associare il deficit di serotonina allo sviluppo di sintomi riconducibili alla sindrome maniacale – spiega Pasqualetti – infatti abbiamo dimostrato che la cosiddetta molecola della felicità è fondamentale per attenuare lo stress da ‘insulti’ ambientali provenienti dal mondo esterno, senza di essa il nostro cervello è più attivo, da cui appunto la fase ‘up’ o maniacale che fa da contraltare alla depressione”. I ricercatori hanno condotto lo studio attraverso una sperimentazione su modelli animali e così hanno visto che i topi a cui veniva inibita la produzione di serotonina mostravano comportamenti, come ad esempio la perdita del senso del rischio, assimilabili a quelli delle persone in fase maniacale.
Se però agli stessi animali veniva somministrato l’acido valproico, un farmaco comunemente usato per la cura del disturbo bipolare, ecco che i loro tratti comportamentali alterati si normalizzavano. Oltre all’analisi comportamentale, i ricercatori hanno condotto lo studio anche nelle cellule nell’ippocampo dove i geni sono risultati più attivi proprio in corrispondenza della fase maniacale. “La conoscenza dei complessi meccanismi che governano la fenomenologia del disturbo bipolare – conclude Pasqualetti – costituisce senz’altro un passo in avanti per l’identificazione di modelli validi per testare terapie farmacologiche sempre più avanzate”.