Il Parlamento britannico ha respinto l’accordo sulla Brexit che il primo ministro Theresa May aveva raggiunto con l’Unione europea. La maggioranza, con il suo voto contrario, ha segnato la più grande sconfitta per un governo a Westminster.
Adesso, secondo un emendamento approvato il 9 gennaio dalla Camera dei Comuni, il governo inglese dovrà presentare una nuova proposta entro il 21 gennaio. Non è ancora certo quello che succederà ma dopo la bocciatura dell’accordo sulla Brexit, per la Gran Bretagna si aprono diversi possibili scenari.
Brexit, cosa succede adesso: i possibili scenari
Mozione di sfiducia per Theresa May. Il leader dell’opposizione, Jeremy Corbyn, cercando di approfittare della situazione, ha presentato una mozione di sfiducia nei confronti del governo, che verrà discussa alle 20 del 16 gennaio. Se la sfiducia dovesse essere approvata, il premier May dovrà dimettersi e un nuovo governo dovrà chiedere la fiducia al Parlamento entro 14 giorni.
In caso contrario si andrebbe ad elezioni anticipate. Probabilmente però la fiducia non verrà accolta perché il partito unionista dell’Irlanda del Nord, che ha votato contro l’accordo, ha già precisato che si opporrà alla mozione di sfiducia.
Rinegoziare con l’Ue. L’accordo tra Theresa May e l’Ue sulla Brexit sembra “l’unico possibile”, o almeno così è stato ribadito più volte anche dai rappresentanti delle istituzioni europee. Molti deputati però vorrebbero che il primi ministro tornasse a negoziare con l’Unione Europea. All’interno dello stesso partito dei conservatori, che costituisce la maggioranza, qualcuno ha votato contro l’accordo perché ritenuto eccessivo, qualcun altro invece vorrebbe una rottura più netta.
Referendum bis. Si fa strada l’ipotesi di far tornare il popolo inglese alle urne e proporre un secondo referendum dopo quello del giugno 2016, che ha dato il via alle trattative per la Brexit. Theresa May però è contraria a questa ipotesi perché lo ritiene un tradimento della volontà dei cittadini, che si sono già espressi a favore della Brexit. Non è ancora chiaro inoltre se il nuovo referedum riguarderebbe l’attuale accordo o riproporrebbe il precedente Leave-Remain.
Riproporre il testo al Parlamento. Alcuni membri del governo avevano pensato di parlare con i singoli componenti del Parlamento britannico contrari all’accordo sulla Brexit e convincerli a cambiare posizione. La sconfitta però è stata di dimensioni talmente grandi che questa terza ipotesi sembra quasi inutile.
Posticipare l’uscita. Qualsiasi strada si intraprenderà per la Brexit, la cosa certa è la necessità di tempi maggiori. La scadenza del 29 marzo 2019, dettata dagli accordi con l’Ue in base ai quali con l’articolo 50 del Trattato la Brexit diventerà effettiva, sembra troppo vicina. La richiesta di rinviare l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea deve essere ratificata dagli altri 27 Stati membri. La proroga porrebbe un ulteriore problema: l’organizzazione delle elezioni europee del 26 maggio 2019 dovrebbe tenere conto del fatto che la Gran Bretagna sarebbe ancora all’interno dell’Ue e pertanto legittimata ad eleggere i propri rappresentanti al Parlamento europeo.
No deal. Lo scenario più temuto, quello che si prospetta per la Gran Bretagna se nessuna delle precedenti possibilità andasse in porto, è il no-deal, un divorzio senza accordo. Il rischio è quello di un intasamento dell’economia. In caso di no deal infatti le relazioni economiche inglesi verrebbero regolamentate dalle norme dell’Organizzazione mondiale del commercio e perciò sottoposte ad una serie di controlli doganali, con possibili crolli della sterlina e un aumento della disoccupazione. I “Brexiteers” di contro ritengono che una politica commerciale indipendente sia auspicabile.