La guerra in Afghanistan dura ormai da 17 anni, dal lontano 2001.
E’ stato detto al mondo che serviva, fra le altre cose, a migliorare le condizioni di vita delle donne afghane. L’ex First Lady Laura Bush lo disse in un discorso alla radio e l’ex segretario di stato e candidata presidenziale Hillary Clinton l’ha affermato ripetutamente.
Ancora nel 2012,quando la guerra entrava ormai nel suo secondo decennio, al vertice della Nato a Chicago dedicato all’Afghanistan riecheggiavano slogan triti e ritriti su quanto fosse necessario lavorare per migliorare la condizione femminile nello sventurato paese centroasiatico.
Purtroppo pero, più di recente, il mito del progresso delle donne in Afghanistan e’ stato brutalmente sfatato. I casi di violenza domestica nel paese sono in drammatico aumento e gli indicatori della parità di genere non rilevano cambiamenti significativi rispetto a prima della guerra.
Come su molti altri temi, anche su quello della condizione femminile in Afghanistan il presidente Donald Trump è ambiguo e confusionario: da un lato proclama il proprio interesse per l’emancipazione delle afghane, dall’altro taglia i budget di Usaid e del Dipartimento di Stato, i due enti americani che più si occupano del tema.
Un rapporto pubblicato a metà settembre dall’Ispettore generale speciale per la ricostruzione dell’Afghanistan fa cadere molti altarini. Il documento è una revisione del programma Promote, lanciato nel 2015 dall’Usaid con l’obiettivo di migliorare le condizioni di vita di 75mila afghane: si tratta del più grande programma di aiuto mai destinato all’empowerment femminile.
La conclusione e’ impietosa: l’agenzia non ha registrato progressi tangibili. Il fallimento del progetto può essere attribuito a molte cose: la macchina burocratica che ha gestito questi programmi non ha funzionato bene, il personale locale si e’ rivelato spesso inadeguato e infine in Afghanistan la corruzione a tutti i livelli è purtroppo dilagante.
Fra l’altro, secondo molti analisti locali, il programma Promote non aveva certo come vero obiettivo quello di far progredire la condizione femminile in Afghanistan, quanto piuttosto quello di migliorare l’immagine degli Stati Uniti nel paese, di farli apparire come una potenza egemone benevola. Se però le condizioni di vita di bambine e donne adulte in Afghanistan restano purtroppo perlopiù disastrose, la colpa non e’ solo di Usaid e dei suoi maldestri programmi di aiuto.
Per migliorare la condizione delle donne, in particolare attraverso la formazione professionale, è necessario che cambino le norme sociali e culturali che impediscono a quelle donne di usare davvero le competenze acquisite ed entrare nel mercato del lavoro.
La società afghana è molto intransigente, prigioniera ormai dell’idea che l’emancipazione delle donne debba essere respinta perché è stata usata come uno slogan per una guerra che ha devastato il paese e danneggiato ed impoverito gran parte della popolazione.