Non sono giorni molto allegri questi per il Brasile. L’economia va disastrosamente, le finanze pubbliche sono in difficoltà e la politica è profondamente corrotta.
Anche la criminalità è in continua ascesa. Tra le 20 città più violente del mondo 7 sono brasiliane. Le elezioni nazionali che si terranno il prossimo ottobre dopo due anni di forte instabilità, danno però al paese una chance di ricominciare daccapo, seppur tra molte incertezze. Ma se, come pare possibile, le vincerà Jair Bolsonaro, un populista di estrema destra,queste elezioni rischiano di complicare ulteriormente la situazione. Bolsonaro è un tipico populista, come ce ne sono tanti nella nostra epoca, da Rodrigo Duterte nelle Filippine a Donald Trump negli Usa; se dovesse vincere metterebbe a rischio la democrazia nel paese più grande dell’America Latina.
Come in tutto il mondo, in Brasile il populismo si nutre di ansie legittime della gente. Innanzitutto l’economia: nel paese il Pil pro capite è caduto del 10% fra il 2014 e il 2016. Il 12%dei brasiliani sono disoccupati. Poi, la corruzione politica: l’inchiesta Lava Jato (una sorta di Tangentopoli sudamericana) ha screditato l’intera classe politica brasiliana. Centinaia di parlamentari e amministratori locali sono sotto inchiesta. L’attuale presidente del Brasile Michel Temer ha evitato un processo da parte della Corte Suprema solo grazie ad un voto a lui favorevole da parte del parlamento. L’ex presidente Lula è in carcere per corruzione e non potrà presentarsi alle elezioni di ottobre.
Bolsonaro ha sfruttato con intelligenza la furia del brasiliano medio per questi scandali di corruzione. Prima dello scandalo Lava Jato, era un semplice parlamentare dello stato di Rio de Janeiro. Gli piace usare un linguaggio violento ed offensivo alla Trump. Ha dichiarato che non avrebbe stuprato una parlamentare perché troppo brutta; ha detto che avrebbe preferito un figlio morto ad uno omosessuale. Ha accusato i brasiliani di origine africana di essere grassi e pigri. Bolsonaro vuole presentarsi come una sorta di sceriffo pieno di buonsenso ai molti brasiliani esasperati dai politici corrotti e dalle bande violente di trafficanti di droga. Dal punto di vista economico è un liberista; vorrebbe privatizzare molte imprese di stato brasiliane e abbassare le tasse. Due settimane fa la sua campagna elettorale ha rischiato di finire in tragedia: è stato accoltellato da uno squilibrato mentre teneva un comizio e si trova tuttora in ospedale anche se non in pericolo di vita. L’ aggressione subita lo ha reso ancora più popolare. Malgrado la loro comprensibile esasperazione per crisi economica, delinquenza di strada onnipresente e corruzione a livelli scandalosi, sarebbe meglio se i brasiliani non soccombessero alla tentazione di consegnare la presidenza ad un uomo pericoloso come Jair Bolsonaro.
Non scordiamoci che la democrazia brasiliana è fragile e giovane: fra gli anni settanta e ottanta il paese è stato governato da una giunta militare che torturava e talvolta assassinava i dirigenti politici.
Bolsonaro spesso fa inquietanti discorsi in cui dichiara di avere una visione positiva di quel periodo. Sarebbe tragico se dopo decenni di ritrovata democrazia il più grande e importante paese del Sudamerica ripiombasse in una sorta di semidemocrazia a forti tinte autoritarie. La decisione spetta agli elettori brasiliani: speriamo che nel chiuso delle cabine elettorali ragionino a mente fredda.