I sindacati e l’Ilva hanno raggiunto un accordo. Il testo è stato siglato ufficialmente al ministero dello Sviluppo economico da sindacati, azienda e commissari, alla presenza del vicepremier e ministro Luigi Di Maio. I sindacati poi sottoporranno il testo al referendum tra i lavoratori.
“Siamo all’ultimo miglio, sono state 18 ore di trattativa in cui i protagonisti sono stati i rappresentanti dei lavoratori, in cui si è cercato di raggiungere il miglior risultato possibile nelle peggiori condizioni possibili“, ha commentato Di Maio prima di entrare al Mise.
Secondo quanto si apprende da fonti sindacali, sembra che il testo aggiornato presentato da ArcelorMittal ai sindacati contenga la proposta migliorativa di riassumere 10.700 dipendenti subito, numero in aumento rispetto ai precedenti 10.300.
In vista dello sciopero da parte delle sigle dei metalmeccanici, programmato per l’11 settembre, il vicepremier e ministro dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio, ha convocato ieri un incontro per trovare un accordo entro le inevitabili scadente del 7 e del 15 settembre. Dopo un incontro informale avvenuto nella notte precedente al Mise tra i sindacati, l’azienda e Di Maio stesso, la prima bozza prevedeva la riassunzione, da parte di ArcelorMittal, di 10.300 lavoratori. Tra questi 10.100 entro la fine del 2018 e altri 200 entro dicembre 2021. Un numero leggermente superiore rispetto al precedente piano occupazionale che proponeva 10.000 riassunti rispetto ai 13.522 attuali dipendenti. Numero nuovamente aumentato a 10.700 nelle ultime ore.
Gli esuberi rimasti che non abbiano già beneficiato di altre misure come – per esempio – l’incentivo all’esodo e non abbiano già ricevuto un’offerta da un’affiliata, secondo la bozza, potrebbero rientrare “non prima del 23 agosto 2023”. Nello stesso tempo, ai sindacati firmatari dell’eventuale accordo, si chiede di impegnarsi a raggiungere con Am InvestCo, “a fronte dell’assunzione dei dipendenti in organico dell’amministrazione straordinaria, specifiche intese, comprese riduzioni dell’orario di lavoro, che consentano di assicurare costi del lavoro invariati”.
Luigi Di Maio, prima della riunione si era dichiarato fiducioso ma la strada per trovare un accordo sembrava ancora in salita. “Sono ore delicatissime”, ha detto il vicepremier, ma il tavolo “può dare buoni risultati, credo che ci siano i presupposti”. Si punta a trovare un accordo entro venerdì 7 settembre. Ancora una volta Di Maio ha sottolineato l’illegittimità della gara di giugno 2017 per la vendita dell’Ilva, gara che però può essere annullata soltanto se viene a mancare l’interesse pubblico, punto centrale dell’accordo tra i sindacati e l’azienda.
Trattative in fermento, dunque, in vista dell’imminente 7 settembre, giorno che Di Maio ha indicato come termine di chiusura della procedura amministrativa sulla validità della gara di aggiudicazione dell’Ilva e anche per rendere pubblico il parere dell’Avvocatura dello Stato. Il 15 settembre scade invece l’amministrazione straordinaria, intanto le risorse finanziare scarseggiano.
A fronte di un Di Maio fiducioso, la segretaria generale della Fiom-Cgil, Francesca Re David, sosteneva che “allo stato attuale siamo lontanissimi da un accordo. Continuiamo a chiedere che non ci siano esuberi, che ci sia piena occupazione e pieno riconoscimento dei diritti salariali” e contrattuali con il mantenimento dei diritti acquisiti a partire dall’articolo 18. La segretaria precisa inoltre che nella proposta di Am non è indicato l’organico complessivo e che il numero iniziale degli assunti resta “invariato”.
Dello stesso avviso anche il segretario generale della Fim-Cisl, Marco Bentivogli, il quale precisa che “le distanze sono ancora molto rilevanti, ma andiamo avanti”. Distanze che partono dagli aspetti occupazionali fino al doppio regime salariale per i neoassunti. Per il segretario è necessario che “il governo confermi i 250 milioni di euro per gli incentivi volontari all’esodo”.
Deciso ad andare avanti finché non si raggiunga un accordo soddisfacente anche il numero uno della Uilm, Rocco Palombella, secondo il quale il documento proposto al tavolo “non va bene perché riproduce fedelmente quello che ci hanno già detto in questi mesi” e l’unica apertura ravvisata “è che da 10.000 passerebbero a 10.300 le persone da assumere”. Il clima “è pesante, ma noi non abbandoneremo il tavolo e andremo avanti per tutto il tempo necessario”.