Svolta nella Chiesa ‘guidata da Papa Francesco. Il Pontefice ha disposto, come aveva preannunciato, la modifica del catechismo della Chiesa per definire sempre inammissibile il ricorso alla pena capitale. Nel vecchio testo, infatti “non si escludeva la pena di morte, quando questa fosse l’unica via praticabile per difendere efficacemente dall’aggressore ingiusto la vita di esseri umani”. Ciò ha sempre suscitato dubbi e perplessità all’interno delle stesse comunità cattoliche che adesso verrano fugati.
La Sala stampa vaticana ha reso noto che il Papa, in un’udienza concessa l’11 maggio al Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, il cardinale Franciso Ladaria, ha approvato una nuova redazione del numero 2267 del catechismo.
Ecco cosa prevede il nuovo testo: “Per molto tempo il ricorso alla pena di morte da parte della legittima autorità, dopo un processo regolare, fu ritenuta una risposta adeguata alla gravità di alcuni delitti e un mezzo accettabile, anche se estremo, per la tutela del bene comune. Oggi è sempre più viva la consapevolezza che la dignità della persona non viene perduta neanche dopo aver commesso crimini gravissimi. Inoltre, si è diffusa una nuova comprensione del senso delle sanzioni penali da parte dello Stato. Infine, sono stati messi a punto sistemi di detenzione più efficaci, che garantiscono la doverosa difesa dei cittadini, ma, allo stesso tempo, non tolgono al reo in modo definitivo la possibilità di redimersi. Pertanto la Chiesa insegna, alla luce del Vangelo, che la pena di morte è inammissibile perché attenta all`inviolabilità e dignità della persona (frase pronunciata dallo stesso Pontefice nel discorso ai partecipanti all`incontro promosso dal Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione dell’11 ottobre 2017), e – prosegue il nuovo catechismo – si impegna con determinazione per la sua abolizione in tutto il mondo”.
Ecco cosa prevede il vecchio testo:“L’insegnamento tradizionale della Chiesa non esclude, supposto il pieno accertamento dell’identità e della responsabilità del colpevole, il ricorso alla pena di morte, quando questa fosse l’unica via praticabile per difendere efficacemente dall’aggressore ingiusto la vita di esseri umani. Se, invece, i mezzi incruenti sono sufficienti per difendere dall’aggressore e per proteggere la sicurezza delle persone, l’autorità si limiterà a questi mezzi, poiché essi sono meglio rispondenti alle condizioni concrete del bene comune e sono più conformi alla dignità della persona umana. Oggi, infatti, a seguito delle possibilità di cui lo Stato dispone per reprimere efficacemente il crimine rendendo inoffensivo colui che l’ha commesso, senza togliergli definitivamente la possibilità di redimersi, i casi di assoluta necessità di soppressione del reo ‘sono ormai molto rari, se non addirittura praticamente inesistenti'”.