La Dia di Trapani ha arrestato Nicolò Clemente, classe 1968, noto imprenditore edile ritenuto braccio destro del boss dei boss Matteo Messina Denaro. L’accusa nei confronti di Clemente è di associazione a delinquere di stampo mafioso. Nei suoi confronti è stato anche eseguito un provvedimento di sequestro preventivo delle società Calcestruzi Castelvetrano s.r.l., e la Clemente Costruzioni s.r.l.,entrambe con sede in Castelvetrano (TP) e a lui riconducibili.
L’operazione odierna si inserisce nell’ambito delle numerose iniziative investigative, sia preventive che giudiziarie, condotte dalla Dia, sotto la direzione della Dda di Palermo, “tese a disarticolare la rete dei consociati mafiosi più “vicini” al latitante Messina Denaro, attraverso l’individuazione e l’eliminazione dal mercato delle imprese mafiose che costituiscono le principali fonti di approvvigionamento finanziario dell’organizzazione mafiosa castelvetranese”.
Le attività d’indagine sono scaturite dalle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Lorenzo Cimarosa e, in misura minore, da Giuseppe Grigoli, entrambi condannati in via definitiva quali appartenenti alla famiglia mafiosa di Castelvetrano, che hanno indicato in Clemente “una delle più attive espressioni imprenditoriali di quel sodalizio, capace di infiltrare e condizionare il tessuto economico locale nei settori dell’edilizia pubblica e privata e nel commercio del conglomerato bituminoso, al fine di assicurare alla citata famiglia significative risorse finanziarie”.
Mafia, arrestato un imprenditore vicino Messina Denaro
Tratto caratteristico dell’operatività del mandamento mafioso di Castelvetrano è, infatti, la presenza nel tessuto organizzativo del clan di mafiosi-imprenditori, che “sfruttando la forza di intimidazione promanante da un sodalizio resosi responsabile notoriamente di gravissimi fatti di sangue“, hanno finito per soffocare ogni possibilità di libera iniziativa economica nel settore delle costruzioni edili e del calcestruzzo.
Il fratello Giuseppe Clemente, associato di primissimo rango e facente parte della cerchia più ristretta e fidata degli amici di Messina Denaro, fu condannato per il reato di cui all’art. 416 bis c.p. e per alcuni omicidi, commessi in concorso proprio con il noto latitante. Pericoloso killer di cosa nostra trapanese, Giuseppe Clemente esercitò l’attività imprenditoriale insieme al fratello Nicolò. Dopo la condanna all’ergastolo, Giuseppe, afflitto da crisi depressive, si è suicidato in carcere nel 2008, proprio nel giorno del compleanno dell’amico Messina Denaro, scongiurando definitivamente il pericolo di poter cedere alla tentazione di collaborare con la giustizia.
Le indagini hanno dimostrato che Clemente, forte del suo rapporto diretto e privilegiato con Messina Denaro, ha nel tempo sistematicamente partecipato, attraverso le due aziende oggi in sequestro, alla spartizione delle commesse nel settore delle costruzioni edili e del calcestruzzo, che avveniva all’interno di un circuito mafioso/imprenditoriale del quale facevano parte, oltre a Clemente, gli imprenditori Giovanni Filardo, Giovanni Risalvato, lo stesso Lorenzo Cimarosa e Rosario Firenze (i primi tre condannati definitivamente per il reato di cui all’art. 416 bis c.p. e Firenze attualmente detenuto per il medesimo reato, con condanna di primo grado).
Trapani, la spartizione degli affari
Il controllo del territorio da parte di Clemente veniva delineato “…come quannu lu attu va pisciannu dunni va camminannu…” (come fa il gatto che urina per delimitare il proprio territorio), manifesto programmatico confessato nel corso di un dialogo di rara chiarezza e forza probante. Tra i principali elementi probatori, richiamati nel corpo del provvedimento cautelare, spicca il rapporto di “collaborazione” di natura fiduciaria tra Clemente e Vito Cappadonna, condannato per aver aiutato Messina Denaro durante la sua latitanza, mettendogli a disposizione vari alloggi e fungendo da vivandiere e co-detenuto del fratello Giuseppe.
Assai significativa è anche la vicenda relativa ad una richiesta di “messa a posto” che Clemente “subiva” dalla famiglia mafiosa di Castellammare del Golfo per dei lavori pubblici appaltati in quel territorio, cui l’imprenditore castelvetranese si sottraeva adducendo di essere finanziariamente impegnato nel sostentamento degli affiliati della famiglia di Castelvetrano. Nel corso dell’operazione la Dia di Trapani, congiuntamente allo Sco e alle Squadre Mobili di Trapani e Palermo, ha eseguito anche diverse perquisizioni locali nei confronti di presunti esponenti mafiosi castelvetranesi.