Fuma sigari Habanos, Mariano Rajoy. Ama il ciclismo e gioca a scacchi. Legge Ken Follet e, alla Moncloa, correva tutti i giorni, prima di iniziare la sua giornata di lavoro al governo. Ma ora, a quella amata Moncloa e ai suoi lussereggianti giardini madrileni, Rajoy deve dire addio, inghiottito dalle polemica e ribaltato dalla mozione di censura che, qualche giorno fa, l’ha sfiduciato.
A questo addio, però, Mariano Rajoy non riesce a rassegnarsi. Colpito dal fulmine di Sanchez, asseragliato in un ristorante del centro di Madrid, improvvisamente sparito dal Parlamento, braccato dai giornalisti, il premier è svuotato della voglia di fare politica. Immobile come era stato negli ultimi anni, preda di un immobilismo che l’ha condannato alla crisi. Finisce così, con le lacrime, la sua parentesi da premier. Lacrime che non si preoccupa di trattenere, mentre annuncia il suo addio al partito e alla politica.
Finisce così la gloria madrilena di Mariano Rajoy. Nato, 63 anni fa, nella Galizia atlantica, sotto i campanili barocchi del santuario celeberrimo di Santiago. Formatosi sotto l’egida di Manuel Fraga Iribarne, il meno strong tra i ministri franchisti, fondatore – alla rinascita democratica – dell’Alianza Popular. Un Alianza che, negli anni, ha preso il nome (decisamente più liberal) di Partido Popular. Ed è quel partito che Rajoy ha raccolto, all’apice del suo trionfo, 15 anni fa. Un PP da 40% dei consensi precipitato nel baratro della polemica e del dissenso durante la sua guida, finito (negli anni) al di sotto del 20%. La parentesi di premiership in Spagna e di leadership tra i populares si chiude, tra gli scandali, con una sdifucia-record che è primato storico nella politica spagnola. Così Rajoy esce di scena (o stenta ad uscire), tra i fischi di un popolo deluso. Così esce di scena nel determinante contrasto del suo stesso elettorato, passato a maglie larghe tra le fila dei Ciudadanos, un partito di destra che sta raccogliendo mezzo (e forse più di mezzo) consenso popolare del PP.
Ѐ quasi ironico che Mariano Rajoy fosse, appena 30 anni fa, un registrador de propriedades. Un notaio, cioè, che ha fatto il suo lavoro anche alla Moncloa. ‘Notaio-degli-spagnoli’ messi in ginocchio dalla crisi (che casualmente era una crisi immobiliare), salvati dal baratro da quel primo ministro che oggi piange.
Eppure, quella stessa crisi ha fatto precipitare Rajoy in un altro baratro che, in una nazione normale (come è ancora la Spagna), gli è costato caro. Anzi, gli è costato tutto. E Mariano lo sa: è per questo che piange. Come ha tremato di fronte a quello ‘scandalo Gürtel‘ che ha sconvolto gli spagnoli. Una tangentopoli made-in-Spain che fa assomigliare il 2018 al nostrano ’92. Con il tesoriere al tracollo (disarcionato dalla sentenza), con la ferita catalana (e lo scandalo che ne è derivato), con l’esponenziale trionfo dei Ciudadanos: così finisce Rajoy e, per molti, finiscono anche i populares.
Così cala il sipario su un uomo che guida un partito corrotto, ad un passo dal naufragio. Un politico che lascia il suo ruolo perché sente che deve lasciarlo. Chissà se qualcuno ha qualcosa da imparare da lui.