È un caso tra tanti. Durante la guerra in Iraq, la famiglia di Suleiman ha lavorato a stretto contatto con l’esercito americano a Mosul, in funzione di interpreti. Quando lo Stato Islamico si è impadronito della città, e i suoi miliziani hanno cominciato a cercare alacremente chiunque avesse collaborato con gli americani, questa famiglia irachena è fuggita nella vicina città di Erbil. Poi l’Isis ha conquistato anche Erbil. Adesso Suleiman e i suoi parenti sono ad Amman, capitale della Giordania e aspettano da mesi di essere ammessi negli Usa come rifugiati.
Suleiman non ha un permesso di lavoro giordano e i suoi risparmi stanno finendo rapidamente. Si lamenta esasperato: ”Qualcuno deve dirmi se potrò mai entrare negli Stati Uniti o sarò costretto a fare il delinquente e finire in prigione”. Molti sono gli iracheni che stanno cercando di entrare in America come rifugiati e dunque la storia di Suleiman e della sua famiglia è tragicamente comune. Nel febbraio 2017 il neopresidente Usa Donald Trump firmò il ”Travel Ban”, che sospendeva ogni ammissione di rifugiati sul territorio americano per 120 giorni.
Le porte chiuse degli Usa a chi cerca una nuova vita
Successivamente vari organi di giustizia americani lo hanno dichiarato nullo, ma in ogni caso questo provvedimento ha sconvolto i piani di intere famiglie ed ha avuto un drastico impatto sul numero di rifugiati ammessi negli Stati Uniti. Nell’anno fiscale 2018, il primo sotto il totale controllo dell’amministrazione Trump, l’America farà insediare sul proprio territorio solamente 20.800 rifugiati. Ciò rappresenta una riduzione del 61% rispetto all’anno fiscale 2017 e il numero più basso dal 1980, anno in cui negli Usa nacque l’attuale sistema di insediamento dei rifugiati politici.
Per i siriani, uno dei popoli più sofferenti della terra, è diventato quasi impossibile fuggire negli Stati Uniti. Ne erano stati ammessi 6.557 nel 2017, invece dal 1 gennaio al 1 maggio 2018 ne sono stati ammessi solo 44. Anche i rifugiati iracheni, somali ed iraniani stanno incontrando enormi difficoltà nell’essere ammessi negli Stati Uniti. Durante la campagna elettorale per le presidenziali del 2016, Donald Trump aveva proposto di proibire a qualunque musulmano di immigrare negli Usa. La sua amministrazione sembra lavorare alacremente per raggiungere quest’obiettivo.
L’immigrazione nell’era Trump
Dal 2013 al 2017, il 41% dei rifugiati ammessi negli Stati Uniti era di fede islamica. Fra quelli ammessi nei primi quattro mesi del 2018 lo era solo il 17%,mentre ben il 58% erano di fede cristiana. Le politiche anti-Islam dell’amministrazione Trump hanno paradossalmente messo in difficoltà anche le minoranze religiose perseguitate nei paesi a maggioranza islamica, come gli Yazidi iracheni, che hanno visto diminuire del 98% i membri della propria comunità ammessi come rifugiati negli Usa. Quando gli si chiede il perché di queste politiche così restrittive, Trump risponde invocando la sicurezza nazionale e la necessità di impedire che pericolosi islamisti si infiltrino sul territorio americano.
Le statistiche degli studiosi del Cato Institute, un importante think thank, indicano però che la probabilità che un cittadino Usa muoia per mano di un terrorista straniero è incredibilmente bassa: una su 328 milioni. L’impressione dunque è che l’amministrazione Trump, più che tutelare l’interesse nazionale, voglia solleticare gli istinti più bassi della propria base elettorale, profondamente nativista e sospettosa nei confronti di qualunque immigrazione straniera.