L’impeachment, la messa in stato d’accusa del Presidente della Repubblica, è l’espressione più calda di queste drammatiche ore. Ma come funzioni e che effetti produca concretamente, forse sono in pochi a saperlo. In Italia la materia è disciplinata dalla nostra Costituzione all’articolo 90: “Il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione. In tali casi è messo in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune, a maggioranza assoluta dei suoi membri”.
Ma se da un lato l’impeachment appare come uno dei poteri dell’organo parlamentare, bisogna comunque sottolineare come in Italia il verdetto finale spetti alla Corte Costituzionale coadiuvata da sedici giudici aggregati estratti a sorte. La Consulta potrà, dopo un vero e proprio processo, emettere la sentenza inappellabile.
Le fasi salienti della messa in stato d’accusa consistono in diversi passaggi. In primis deve essere presentata una richiesta specifica al presidente della Camera che poi trasmette il materiale probatorio allegato ad un Comitato formato dai componenti della giunta per le autorizzazioni a Procedere di Senato e Camera.
A quel punto, se viene stabilita la legittimità dell’accusa dopo un verdetto votato a maggioranza, viene presentata una relazione al Parlamento riunito in seduta comune. Di conseguenza sono due le strade possibili: o il ‘dossier’ viene archiviato oppure viene posto in votazione nell’Aula riunita sempre in seduta comune che deciderà sull’autorizzazione a procedere.
Se non vengono avanzate richieste di ulteriori indagini, si apre la discussione sulla competenza parlamentare dei reati imputati. Se invece la relazione propone la messa in stato d’accusa, il voto è a scrutinio segreto e la destituzione scatta solo se si raggiunge la maggioranza assoluta. La questione passa infine alla Corte Costituzionale che procederà con un regolare processo.
In Italia, questo potere, pur essendo stato più volte invocato con Giovanni Leone, Francesco Cossiga e Giorgio Napolitano, non è mai stato esercitato sino in fondo.