Uno studio guidato dall’Università del Queensland, pubblicato oggi su Science, ha analizzato le 202 mila aree protette nel mondo e il loro livello di degradazione, a causa di alcune attività umane. Dallo studio ne è risultato che un terzo delle aree protette sono gravemente degradate, e anche i paesi più ricchi come l’Australia non si curano di proteggere la biodiversità.
In Italia le aree più degradate si trovano al sud, ma non è esente nemmeno qualche area settentrionale. In rosso i parchi regionali dell’Etna, dei Nebrodi e delle Madonie in Sicilia; i parchi nazionali dell’Aspromonte, della Sila e del Pollino in Calabria; il parco nazionale della Val d’Agri in Basilicata; i parchi nazionali del Cilento e del Vesuvio in Campania; i parchi nazionali dell’Alta Murgia e del Gargano e il parco regionale Terra delle Gravine in Puglia; il parco nazionale del Circeo e il parco regionale dei Monti Aurunci in Lazio; il Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise; i parchi nazionale della Majella e del Gran Sasso in Abruzzo; il parco nazionale dei Monti Sibillini fra Marche e Umbria; il parco nazionale delle Dolomiti Bellunesi in Veneto; il parco nazionale dello Stelvio fra le Province di Trento e Bolzano.
Quali sono i parametri utilizzati dai ricercatori per lo studio? Innanzitutto la presenza nelle aree protette di miniere, deforestazione, agricoltura ma anche di strade, centri abitati, linee elettriche, luci notturne. Elementi che snaturano profondamento il territorio, con un impatto altamente negativo. Ad essere più degradati rispetto agli altri paesi, sono i territori europei, ma anche l’Asia e l’Africa, senza dimenticare l’Australia.