Il capitolo Schifani (per così dire) è forse il ramo più misterioso del cosiddetto affaire Montante. Una spy story tutta siciliana, resa più avvincente dalla scoperte di stanze segrete e archivi nascosti, degni dei più acclamati film 007. Ma, in questa versione della storia, siamo lontani da Londra e la ‘rete‘ di spionaggio che si svela agli occhi degli inquirenti sembra (addirittura) più sofisticata di quella di Fleming.
Tutto il sistema si basa su una catena di talpe (nomi illustri, è chiaro) per l’una e per l’altra fazione. Talpe in Procura e all’Antimafia che permettevano al principe di Sicindustria di conoscere in anticipo tutte le mosse degli inquirenti. Talpe tra i fedeli di Antonello Montante che avrebbero permesso di inchiodarlo definitivamente. I magistrati di Caltanissetta vogliono vederci chiaro. Per questo, passate al setaccio le intercettazioni, intendono andare fino in fondo e interrogare tutti gli ambigui personaggi dell’ipotesi accusatoria. A fare capolino, oggi, dunque sono nomi ancora più illustri di quelli emersi finora. Tra questi, c’è Renato Schifani, l’ex presidente del Senato, c’è il numero uno dell’Ainsi, il generale Arturo Esposito, ma ci sono anche il capo-reparto Andrea Cavacece e il professore Angelo Cuva. Insomma, dietro a Orlando, sono finiti nel mirino tutti i suoi cavalieri.
Una catena di anelli degna di un film di spionaggio: così Montante controllava e manipolava informazioni
I nomi eccellenti inquisiti sono più di una trentina. E tutti sono indagati a diverso a titolo. Ma sul ramo Schifani, tutti condividono un fondamentale capo d’accusa. All’ex presidente, come ad Esposito, a Cavacece e a Cuva, si contesta il reato di concorso in rivelazione di notizie riservate. Gli avvisi di garanzia, corredati di inviti a comparire, sono stati notificati questa mattina dalla polizia a tutti gli interessati. Per Schifani e Cuva, poi, c’è anche l’ipotesi di favoreggiamento. Ma questa è un’altra storia.
I magistrati di Caltanissetta ipotizzano l’esistenza di una catena di talpe e fughe di notizie che, ad anelli, assicurava a Montante (ed altri sinistri paladini dell’Antimafia) di eludere tutte le inchieste attraverso un sistema certosino di catalogazione e manipolazione delle informazioni. Per la Procura nissena, il primo anello vedeva in azione Andrea Grassi (anche lui indagato), dirigente della prima divisione del Servizio Centrale Operativo della polizia. Grassi si metteva in contatto con Cavacece che, a sua volta, veicolava le informazioni al generale Esposito. A questo punto, si passava al nome più illustre: Esposito raggiungeva Schifani che avrebbe avuto il ruolo-chiave di collante con il professore Cuva. Il docente universitario, poi, ordinario di Tributario all’Università di Palermo, contattava il colonello D’Agata, ex capocentro della Dia palermitana, oggi agli arresti domiciliari.
L’affaire Montante e i nomi più illustri: Schifani respinge le accuse
Schifani, era prevedibile, ha respinto tutte le accuse. Un po’ come Crocetta quando, contattato dall’Ansa, negava di aver ricevuto qualsiasi notifica. “Guardi che non ho ricevuto alcun avviso di garanzia”, annunciava ai cronisti, poi si interrompeva. “Aspetti, aspetti”, proseguiva mentre si sentivano altri squilli di telefono. “Me lo stanno notificando adesso”, annunciava chiudendo la chiamata. Ad ogni modo, la Procura di Caltanissetta è convinta che quel fantomatico ‘professore Scaglione‘ a cui si riferivano, nelle intercettazioni, Cuva e D’Agata fosse proprio Schifani.
E questa catena di anelli è solo una porzione del cosiddetto ‘sistema Montante‘ che avrebbe condizionato, per anni, la vita politica e imprenditoriale della Sicilia. Così il caso Montante è diventato il caso Sicilia, anche se sarebbe più opportuno definirlo come ‘caso Sicilia-che-conta‘. Perché questo terremoto che scuote i palazzi del potere, ha ben poco a che fare con i siciliani.