Golden State, abbiamo un problema. La gara-2 della serie con Houston ha evidenziato parecchie difficoltà dei Warriors, specialmente in una delle loro stelle più brillanti, Steph Curry, costantemente messo sotto pressione dall’attacco dei Rockets e particolarmente sterile nella metà campo offensiva, dove ha sparacchiato da 3, per l’ennesima serata no di questi playoff abbastanza deludenti a livello personale.
Houston Rockets-Golden State Warriors 127-105 (1 – 1)
Dopo la pesante sconfitta di gara-1, per coach Mike D’Antoni era necessario prendersi dei rischi, e così è stato. Nel secondo episodio della serie di finale della Eastern Conference, Houston ha premuto con decisione sull’acceleratore, alzando i ritmi della partita e andando, così, contro i propri principi, quelli di una squadra che basa il proprio attacco sull’isolamento a metà campo, specialmente contro un avversario come i Warriors, letali quando si alza la pace della partita.
Il rischio, però, ha pagato: Chris Paul è sceso in campo in modalità Point God, deciso a riportare in parità quella che è la sua prima finale di Conference in carriera, e ha trovato in PJ Tucker un alleato dal valore inestimabile. Lo specialista difensivo ha messo a referto 22 punti (con 5 triple), cui si aggiungono i 27 firmati da Eric Gordon.
Houston, insomma, ha dimostrato di poter stare al gioco dei Warriors, e di poterli battere sul loro territorio preferito. Adesso, però, sarà necessaria una vittoria nella baia di San Francisco per poter riportare il fattore campo dalla propria parte. E lì, per forza di cose, toccherà a James Harden tirar fuori l’orgoglio e dimostrare di valere il trofeo di MVP che con ogni probabilità riceverà tra un mese.