Stanno cercando di documentare un conflitto eterno, una carneficina ingiustificata che torna a mietere vittime. Non sono in moltissimi. Si trovano, insieme ai manifestanti, lungo il confine tra Gaza e Israele. Indossano elmetti e giubbotti, su cui campeggia la scritta PRESS. Ѐ edivente che si tratta di giornalisti. Difficile credere che i cecchini d’èlite non l’abbiano notato. O che abbiano sbagliato obiettivo.
Le immagini, infatti, mostrano chiaramente un drone dell’esercito israeliano che lancia gas lacrimogeni su di loro. E, mentre i cronisti fuggono disperati, a diffondere il video è Hoda Abdel-Hamid, corrispondente di Al Jazeera che si trova sul posto. “Colpirci non allontanerà i problemi da Gaza”, tuona su Twitter il giornalista. E sembra quasi un anatema.
58 morti. Altri dicono 60. Quasi 3000, invece, sarebbero i feriti. Un bilancio che è destinato ad aggravarsi. Tra i morti ci sono otto minori e c’è un bambino. Ma, a Gaza, è stato ucciso anche un paramedico e, tra i feriti, ci sono 11 giornalisti, colpiti dai lacrimogeni di Tel Aviv. Una strage. Una strage che assume un valore tragicamente simbolico. Si consuma, infatti, nel giorno di inaugurazione dell’ambasciata americana a Gerusalemme. Un evento che coincide con il 70esimo anniversario della nascita di Israele. Da Washington, parole di plauso che indignano la Palestina e la Comunità Internazionale. “Big day for Israel“, twitta Trump e fa eco a Netanyahu che, poco prima, cinguettava: “What an amazing day!” Che giorno fantastico.
Sembra impossibile che un capo di stato pronunci parole come queste, mentre sul suolo del suo paese si uccidono manifestanti innocenti. Sembra impossibile, eppure è vero. Mentre Ivanka e Kushner, infatti, sorridono, scoprendo la targa della nuova ambasciata, a Gaza si uccidono bambini, si uccidono i paramedici, si feriscono i cronisti. La condanna è unanime e globale. Viene da Bruxelles, da Roma, da Parigi, da Berlino, da Londra, da Beirut e dal Qatar. Viene persino da New York, dove l’ONU osserva con allarmata preoccupazione. La Casa Bianca ignora le accuse. La colpa, ovviamente, è di Hammas che provoca la reazione di Israele.
I giornalisti, intanto, sono costretti a fuggire. Si nascondono, terrorizzati, nelle auto che hanno a disposizione. Hanno abbandonato i loro strumenti, in cerca di riparo. Sono colpiti da forti attacchi di tosse. Respirano male a causa del gas. A loro, ad ogni modo, è andata meglio che ai manifestanti. Quelli giacciono morti, pochi passi più avanti, giù dalla collina.
Si scrive e si parla di terrorismo di stato, di massacro di stato. Ma Netanyahu non è d’accordo. Tel Aviv si è solo difeso. Si è difeso dalle pietre che i manifestanti lanciavano contro il filo spinato. Si è difeso con i mitra.