Tom Wolfe è morto oggi a New York. Scrittore, ma anche giornalista, aveva lavorato per il Washington Post e per il New York Herald Tribune. Aveva scritto molti saggi, particolarmente apprezzati, sulla romanzistica e sulla società. Ha inventato (addirittura) neologismi. Molti lo considerano il promotore assoluto del ritorno al realismo della narrativa americana. Tutti, invece, concordano nell’indicarlo come padre del cosiddetto New Journalism.
Si è spento nell’ospedale di Manhattan dove era ricoverato per un’infenzione. Aveva 87 anni. È stato il narratore di tutte le storie. Ha raccontato degli hippy e degli alieni, della società e della politica, della realtà e della finzione.
A riferire della sua morte è stato l’agente Lynn Nesbit in una telefonata all’Associated Press di New York. Non ha fornito, tuttavia, ulteriori dettagli. Il pioniere del New Journalism (che si sviluppò negli USA nei primi anni sessanta) sosteneva una cronaca dal vero, tutta improntanta all’indagine sul campo. Per Wolfe, l’unico modo per raccontare un fatto era uscire a riferirlo. Il suo stile di scrittura era pieno di parole improbabili e punti esclamativi, innovativo ed estremamente parlato.
Due (soprattutto) sono le ragioni della sua fama. La prima, indiscussa, è il celebrato Falò delle vanità, pubblicato e tradotto in numerose lingue nel 1987. Già a quella data, peraltro, Wolfe era stato autore di diversi romanzi realisti. The Bonfire of the Vanities, però, suo eterno successo, è una satira del potere e della giustizia Manhattan-style destinata a diventare un riferimento per il genere. La seconda, forse inaspettata, è l’espressione (tutta made-in-Wolfe) ‘radical chic‘ entrata a pieno titolo prima nel lessico inglese e, poi, in tutte le altre lingue.