L’accordo sull’Ilva naufraga. Il tavolo della trattativa si ribalta. Tutta la vicenda, insomma, deve ripartire (quasi) da zero. Dopo il rifiuto dei sindacati metalmeccanici, il testimone passerà all’esecutivo nascente, alla diarchia Salvini-Di Maio, al duopolio Lega-M5S. Insomma, a qualunque sia il nuovo governo. Ammesso che vada tutto secondo i piani.
Calenda, intanto, prede atto del fallimento. A ricordarglielo è direttamente il governatore della Puglia, il 5stelle-friendly Emiliano. Del resto, che tra i due non scorresse buon sangue non era certo una novità. Calenda era stato tra i più convinti detrattatori della linea di apertura dei dem al M5S propugnata da Emiliano. E sull’Ilva, poi, c’è uno scontro ancora più acceso.
I primi a raccogliere i cocci, dopo il tavolo ribaltato di ieri, sono proprio Emiliano e il sindaco di Taranto (anche lui dem) Melucci. Si incontrano questa mattina, a Bari. La cornice, quanto mai rappresentativa, è la Fiera del Levante assediata dai cronisti. Melucci preferisce il silenzio, Emiliano è di tutt’altra opinione. “Stiamo discutendo dell’Ilva”, annuncia, rivolto ai microfoni. Poi, glissa sulle fratture interne al Pd. Sul tavolo, oggi, ci sono solo i lavoratori. O quasi. Il presidente, infatti, non sembra accorgersi della contraddizione, quando insiste sul fallimento di Calenda. “Ha fallito perché non ha una percezione esatta di quello che succede all’Ilva”, dichiara, sempre più incalzato dai giornalisti. Poi, aggiunge: “Come probabilmente non ha percezione anche di altre vertenze che non ha risolto”. È chiaro. Emiliano vuole parlare dell’Ilva, ma se ha occasione, non disdegna di togliersi qualche altro sassolino dalla scarpa.
Ad ogni modo, da oggi abbiamo certezza che sarà il cosiddetto ‘nuovo governo‘ a occuparsi dell’Ilva. Con tutti i problemi che il caso comporta, è evidente. In via Bellerio, lo sanno bene. E anticipano persino i grillini a cui Emiliano ha sempre schiacciato l’occhio. I leghisti mirano al centro del dibattito e incrociano le dita, sperando che tocchi veramente a loro guidare la transizione. “Sostenere che l’Ilva va chiusa è inaccettabile”, afferma il numero uno dei salviniani pugliesi, Andrea Caroppo. Rossano Sasso, poi, parlamentare della Lega, riecheggia le parole di Caroppo di fronte all’adunata dei cronisti a Bari. “Ci vuole buon senso, nessun posto di lavoro deve andare perso, così come non si può perdere o far scappare l’acquirente”, dichiara Sasso con convinzione, mentre assiste al ‘battesimo leghista‘ di 5 giovani imprenditori che hanno appena aderito al partito. Dunque, la Lega c’è. E ci tiene a ribadirlo.
Al 257 di via Nomentana, sostanzialmente concordano con il Carroccio. E non è più una novità, per i grillini. A chiedere l’avvio di un confronto è quel Lorenzo Fioramonti che Di Maio vorrebbe al dicastero dell’Economia. Secondo fonti vicine ai pentastellati, l’incontro sarebbe stato fissato per la fine di maggio. “Il Siderurgico di Taranto supererà il ricatto occupazionale, affinché reddito, ambiente, salute e lavoro coesistano, creando un nuovo modello economico, non più basato sulla monocultura dell’acciaio”, così spiegavano ieri i parlamentari grillini.
Intanto, Calenda non trova la quadra. Il naufragio dell’intesa, per il ministro, è quasi incomprensibile. Anzi, potremmo omettere il quasi. Infatti, il capo del Mise il colpo non sa incassarlo proprio. Forse per questo, pensa di poter definire le posizioni dei sindacati come “populismo sindacale e sindacalismo politico”. La leader della Cgil, di fronte a certe prese di posizione, è incredula. “Non merita replica”, rilancia Susanna Camusso. Insomma, Calenda sembra prendere il rifiuto dei metalmeccanici come un’espressione di dissenso nei suoi confronti. Chissà da chi avrà preso lezioni di personalismo.