È musica di nazionalismo quella che Macron sente risuonare alle porte dell’Europa. E queste note a monsieur le président piacciono poco. Le evoca, spaventato ma fiducioso, di fronte alla platea di Acquisgrana, durante la cerimonia di consegna del premio Charlemagne.
Insomma, agli araldi sovranisti che minacciano Rue de la Loi e mirano al cuore dell’Europa unita, Bruxelles deve rispondere con un imperativo categorico. Chi meglio di lui, astro nascente (o quasi) dell’ultima frontiera dell’europeismo può ribadirlo al mondo? Soprattutto in queste ore delicate. “Non dividiamoci” è l’imperativo di Macron. E non è difficile comprendere quale sia il privilegiato destinatario di queste parole. Tanto più che Emmanuel sceglie proprio l’italiano per affermare il suo monito.
I punti, per il président, sono tre, semplici e imprescindibili. Punto numero uno, l’Europa non è debole. “Non siamo deboli”, scrive anzi. Perché, per Macron, è necessario sottintendere che noi siamo l’Europa. Punto numero due, rifiutiamo le divisioni interne. “Uniamoci”, invita o intima il capo dell’Eliseo. Il che ci porta al punto numero 3: non avere paura. E al monito (invito-imperativo) corrispondente: “Osiamo fare”. Poi, Emmanuel conclude: “Non aspettiamo. Agiamo ora”. È evidente, il presidente francese sta interpretando i malumori di Bruxelles. Il suo messaggio all’Italia è risoluto e pieno di speranza. Sa, come tutti, quanto l’intero sistema può essere messo a rischio dall’alleanza (proverbialmente euroscettica) di grillini e leghisti. Lo sa come i media internazionali che oggi hanno gridato compatti all’allarme-populismo. Sono lontani i tempi in cui i governi occidentali canzonavano le destre nazionaliste del gruppo di Visegrad.
Ad ogni modo, il messaggio del président non è rivolto solo all’Italia. Certo, soprattutto all’Italia, ma qualche altra parte in gioco c’è sempre. Macron, infatti, ci tiene – in primis – a far crollare i pregiudizi che sembrano tenere la Germania, guidata dalla Große Koalition del ‘governo di tutti’, qualche passo più indietro. Parigi non sa dove andare senza Berlino. E sono in moltissimi, in tutta Europa, a guardare con sospetto a questo mèlange privilegiato. Macron lo sa. E non vuole che gli altri partner si sentano esclusi. O comunque non vuole darlo a vedere. “L’unità tra Francia e Germania è la condizione per l’unità dell’Europa che sola ci permetterà di agire”, tuona dai banchi di Asquisgrana. Sono tutti spunti con cui il presidente francese vuole soffocare l’assordante musica di nazionalismo di cui si diceva prima. Tra poco, peraltro, potremmo celebrare il secondo anniversario di divorzio tra Londra e Bruxelles, il primo dirompente atto di sovranismo dell’Europa occidentale. A questo vento nazionalista, Parigi e Berlino hanno resistito e Macron sa che Roma non potrà fare altrettanto. Dopo Brexit, peraltro, sparivano nell’orizzonte dei cosiddetti populismi, Polonia e Ungheria. Forse, è solo questione di ore.
A Bruxelles, tutti incrociano le dita. E Macron prega, pieno di attivismo. Il leader europeista è scettico persino sul premio di Aquisgrana. “Questo premio sarebbe poca cosa se fosse un invito ad aspettare”, avverte la platea tedesca. Forse deluso dalla prudenza avanzata poco prima da Angela Merkel. Come ha detto nel suo monito in italiano, il président vuole agire. Dietro di lui, Martin Schultz sorride divertito. Mario Draghi, invece, è impassibile. Sa bene quale ingrato compito gli toccherà, d’ora in poi.