Era il 1996. A Como, scattava un’operazione ambiziosa, destinata a durare anni. Un’operazione che avrebbe portato all’arresto di decine di ‘ndraghetisti del Comasco e al disvelamento dell’ennesima casa di rappresentanza lombarda della mafia calabrese. Un’operazione che si stringeva – di anno in anno – attorno ad Angelo Filippini, nordico fedelissimo alla sua patria d’adozione, introvabile. Sono trascorsi 22 anni.
Oggi, l’illustre latitante ha smesso di nascondersi. A catturarlo è addirittura la Gendarmeria reale marocchina che, indirizzata dall’Interpol, ha scovato il Filippini in una cittadina turistica in riva all’Atlantico. Siamo a 15 km da Rabat. E il comasco, ormai 73enne, finisce in arresto.
I carabinieri del nucleo investigativo di Como non hanno mai smesso di braccarlo. Ed è vero che Angelo Filippini, in 22 anni, ha fatto strada. E si è nascosto benissimo. Eppure, non è sfuggito al paziente ed attento monitoraggio dei suoi familiari che ha indotto gli inquirenti a localizzarlo in Marocco. Adesso, siamo persino in grado di ricostruire tutti i movimenti della sua lunga latitanza.
Ai vertici della ‘ndrangheta delocalizzata, Filippini forniva un capannone di sua proprietà, situato nel comune di Rovellasca. Nel (più o meno) insospettabile deposito, veniva custodita l’eroina acquistata dai clan attivi tra Como e la provincia e fornita dai turchi. In cambio della gentile custodia, il Filippini ricevava ben 30 milioni di lire per ogni singolo carico ospitato. Ma la cortesia dell’allora 50enne comasco si spingeva molto più in là. Angelo Filippini, infatti, sollevava gli addetti anche dall’onere del confezionamento e della consegna delle varie partite di droga che aveva l’abitudine di svolgere personalmente. La media mensile era circa di 100-200 chili di eroina, commercializzati diligentemente ad ogni cenno dei capi-cosca.
1998, Seminara, piana di Gioia Tauro. Siamo attorno a Reggio Calabria, più in particolare nella specifica zona di influenza della cosca mafiosa Santaiti, a cui afferiscono gli ‘Spinella – Ottina‘ attivi fin dagli anni ’80 nel Comasco. Filippini obbediva proprio a questo ramo della ‘ndragheta lomabarda. Ma torniamo a Reggio Calabria. L’operazione, partita nel 1998, nota con il nome in codice di “Smirne“, trascina sul banco degli imputati ben 30 tra ‘ndraghetisti ufficiali e collaboratori nel lontano 2007. La pattuglia di accusati, poi, si stringe. Qualcuno latita, qualcun altro viene assolto. Nel 2012, le condanne confermate dalla Cassazione sono solo 7. Tra queste, c’è la condanna di Angelo Filippini. Ma non c’è il condannato che nessuno (o quasi) ha più visto dal 1996.
Il Filippini è, dunque, l’ultimo e il più tenace latitante di Smirne. L’irreperibile, oggi, è in cella, in attesa di estradizione. Nei 22 anni che sono trascorsi dall’inizio della sua lontananza dall’Italia, Angelo non ha smesso di avere contatti con Como e dintorni. Purtroppo per lui. Viveva sotto falso nome, con un passaporto bulgaro e una nuova inedita carriera da agente immobiliare. A tradirlo il dito medio della mano sinistra.