Sui legami tra mafia e politica, la discussa sentenza dello scorso 21 aprile ha fatto scuola. Questa volta, però, siamo lontani da Palermo. Il caso, infatti, riguarda la ‘ndrangheta nordica e, in più in particolare, la sua filiale torinese. Il caso esplode in occasione della requisitoria del processo di appello bis della cosiddetta inchiesta Minotauro, terminato qualche giorno fa con 7 condanne.
Il verdetto svela i rapporti tra almeno due esponenti del Pd torinese e il boss ‘ndranghetista Salvatore De Masi, più noto come Giorgio. E prima della bufera, è intervenuto il procuratore generale del Piemonte. “Si tratta di un’ala deviata del Pd”, ha precisato Francesco Saluzzo.
Gli albori di Minotauro: il ‘padrino’ di Rivoli
L’annosa inchiesta Minotauro inizia nel lontano 2007, quando la direzione distrettuale antimafia di Torino intuisce la portata di un’indagine presto rivelatasi colossale. L’8 giugno 2011, la Procura torinese porta in carcere ben 142 rappresentati delle ramificazioni piemontesi della ‘ndrangheta. Questo, il quadro generale. Nelle carte di Minotauro, poi, appaiono dei contatti risalenti al 2010 e finalizzati alla ricerca di voti per le primarie locali. Vi sarebbero quindi dei rapporti (non meglio specificati) tra alcuni dem torinesi e De Masi. Salvatore, detto Giorgio, oggi si trova in carcere dove sta scontando 9 anni di reclusione. Nel 2015, la magistratura torinese accerta che De Masi è il plenipotenziario mafioso dell’area di Rivoli, cittadina calda della provincia di Torino. E, al padrino calabrese, nell’occasione, vengono sequestrati 6 milioni di euro.
La casa di rappresentanza e la ricerca dei voti, Saluzzo: “Non parlo del Pd nel suo complesso”
Minotauro, dunque, amplia il suo dossier. Eppure, nessun esponente del Pd locale viene imputato nell’inchiesta. Nel 2010, infatti, venuti fuori i contatti tra i dem e De Masi, i due si difesero, sostentendo di non sapere che ‘Giorgio‘ fosse legato alla criminalità organizzata. Saluzzo, interpellato in proposito, chiariva – invece – quanto De Masi fosse un esponente di spicco. “A noi risulta che fosse un personaggio di altissimo livello”, ha spiegato il procuratore. Per capire quanto alto fosse questo livello, bisogna comprendere un certo meccanismo dei rapporti tra la Calabria e le sedi distaccate della ‘ndrangheta. I clan calabresi, infatti, progettavano di insediare in Piemonte una cosiddeta ‘casa di rappresentanza‘, un organismo di raccordo tra filiale e casa base concesso (presumibilmente) in appalto proprio a De Masi. Che i due dem fossero all’oscuro dell’alto lignaggio di un uomo del genere ci risulta, agli atti, poco credibile. “Ovviamente io non ho parlato del Pd nel suo complesso”, ha opportunamente precisato Francesco Saluzzo.
Ѐ chiaro: i due esponenti che ebbero un colloquio con De Masi non rappresentano il Pd. E il procuratore ha voluto sottolineare un aspetto che, sulla scia di eventuali polemiche, potrebbe sfuggire. La ricerca di serbatoi di voti è un’attività che, in Italia, riguarda tutti i gruppi politici. Anche quelli che hanno interesse a farsi eleggere lontano da Casal di Principe. Anche a pochi passi dalle regge dei Savoia e dal confine con la Francia. Del resto, il fenomeno del clientelismo è endemico e atavico. Nessuno ha mai insinuato che il Pd ne fosse immune.