Anche il ‘giorno della terra’ era venerdì e si è celebrato nel sangue. Oggi, un altro venerdì di sangue macchia la striscia di Gaza. Dopo le decine di morti delle ultime settimane, nuovi scontri insanguinano il confine tra il territorio costiero e Israele. Le forze armate di Tel Aviv hanno usato lacrimogeni e colpi d’arma da fuoco sui manifestanti palestinesi, rimasti coinvolti in massa. Secondo le stime di Ashraf al-Qidra, portavoce del Ministero della Sanità, i feriti sarebbero almeno 528. Tra questi, medici e giornalisti, oltre che civili inermi.
Dal 30 marzo scorso, le manifestazioni – lungo il confine tra Gaza e Israele – hanno registrato decine di migliaia di partecipanti. Almeno 20mila palestinesi hanno marciato la scorsa settimana sulla barriera di sicurezza che divide i due territori. L’esercito israeliano ha represso nel sangue qualunque iniziativa. E l’escalation di violenza ha già fatto 33 vittime. Oggi, Israele vuole rispondere alla “Marcia del ritorno” che ha attirato migliaia di dimostranti in luoghi diversi del confine. E, contro questi pericolosi dimostranti, l’esercito ha schierato cecchini e carri armati.
“Manifestazioni appoggiate dall’Iran”. Ѐ questa la (timida) difesa dello Stato Ebraico, che invita a non lasciarsi ‘ingannare’ dalle cortine di fumo e dai civili. “Le cosiddette manifestazioni non sono null’altro che un altro tentativo di Hamas di terrorizzare Israele”, dichiara Jonathan Conricus, portavoce dello stato israeliano.
E il colonello non si preoccupa di definire una marcia con migliaia di manifestanti ‘un tentativo di terrorizzare Israele‘. Del resto, colpire i civili con gas lacrimogeni e proiettili, pare – al suo esercito – una risposta adeguata.