Sulla Siria, Occidente e Russia sono al gioco delle parti. E nessuno vuole rinunciare al proprio ruolo. Né il Cremlino che, oggi, parla per bocca del ministro Lavrov e accusa gli Stati Uniti e Londra di aver ‘inscenato’ l’attacco chimico del 7 aprile, né Trump che, frenato dal Pentagono, due giorni fa minacciava l’intervento missilistico e neanche la Francia, che, dopo la tragedia del Bataclan, non si fa più grandi scrupoli a bombardare la Siria.
“Abbiamo prove inconfutabili”, ha annunciato il ministro degli Esteri russo. Così Mosca risponde alle accuse di USA ed Europa che renderebbero sempre più concreto il rischio di una vera guerra. Lavrov, però, è certo: “L’attacco chimico di Douma è stato organizzato”. E non ha dubbi neppure su chi sia l’organizzatore. “I servizi speciali di un paese, che ora sta cercando di essere nelle prime file della campagna russofoba, sono stati coinvolti in questa messinscena”. E il paese russofobo è chiaramente gli Stati Uniti. Poi, non esita a mirare a Westminster: “Siamo certi che Londra abbia effettuato fortissime pressioni sui rappresentanti dei Caschi Bianchi perché realizzassero il prima possibile l’attacco”. Lo scopo? Secondo il Cremlino, ovviamente, indurre gli USA a colpire la Siria. Forse, l’ennesimo riverbero del caso Skripal?
La Casa Bianca e il Cremlino si sfidano a distanza. Come ai tempi della guerra fredda. Anche se, durante la crisi di Cuba, non c’era Twitter. E, per scongiurare un conflitto globale, a Kennedy e Chruščëv servì (anche) la lettera del Papa. Questa volta, Trump (che non è Kennedy) twitta, annuncia e poi si smentisce. “Un attacco in Siria? Potrebbe avvenire molto presto ma anche non così presto”, scrive sul social. E poi, per evocare proprio gli scenari da cortina di ferro, aggiunge: “Le nostre relazioni con la Russia sono peggiori di quanto non lo siano mai state, compresa la Guerra Fredda”. Dopo la frenata del Pentagono, a rassicurare il mondo ci pensa il turco Erdogan che annuncia: “Il clima tra Russia e USA si sta calmando”. Insomma, la strategia di Trump (se esiste) è oscura.
Al di qua dell’Atlantico, invece, c’è più cautela, ma poca concordia. L’Europa, sul fronte interventista, è spaccata. L’avanguardia è, prevedibilmente, Macron che non sembra avere dubbi sull’uso di armi chimiche. Anzi, si spinge oltre. “Abbiamo la prova che la settimana scorsa sono state utilizzate armi chimiche in Siria da parte del regime di Assad”, asserisce il presidente francese. E pronuncia la parola ‘prove‘. Peskov, portavoce del Cremlino, ha inoltre riferito di una telefonata, svoltasi questa mattina, tra Putin e Macron, in cui il presidente russo avrebbe messo in guardia il suo omologo francese da ogni “atto impulsivo e pericoloso”. Ma l’Europa non appare molto solidale con l’Eliseo. A convidere la posizione francese è, probabilmente, soltanto la NATO. “Consideriamo l’uso di armi chimiche una minaccia per la pace e la sicurezza internazionali e i responsabili ne pagheranno le conseguenze”, ha tuonato il segretario generale Jens Stoltenberg.
Dissente totalmente Angela Merkel. “La Germania non prenderà parte ad eventuali azioni militari in Siria”, ha affermato la cancelliera durante una conferenza stampa. E l’Italia si schiera al suo fianco. Piena sintonia, dunque, tra Roma e Berlino. “Noi non partecipiamo ad azioni militari in Siria, pur condannando l’uso di armi chimiche”, così Paolo Gentiloni, a capo di un governo non governo che, dal 4 marzo, non ha più una maggioranza. E se le consultazioni di ieri hanno messo al centro la crisi siriana per accelerare nel formare l’esecutivo, certe decisioni non hanno bisogno della prova dei voti in aula. L’Italia ha detto no: da Sigonella non partiranno azioni militari.
Sulla Siria, dunque, Occidente e Russia sono al gioco delle parti. Un gioco che, già prima di iniziare, sta costando migliaia di vittime innocenti.