Di questi tempi la politica americana è profondamente partigiana, polarizzata fra democratici e repubblicani. Eppure un mese fa un disegno di legge è stato approvato all’unanimità da tutti i membri del Congresso, e poi firmato dal presidente Trump. Si tratta del Taiwan Travel Act, che vorrebbe segnare una svolta nei rapporti fra l’isola di fronte alle coste cinesi, considerata da Pechino una provincia ribelle, e Washington.
Il Taiwan Travel Act incoraggia visite di delegazioni ufficiali americane a Taipei,cosa che per decenni gli Stati Uniti non hanno fatto per non turbare le sensibilità cinesi. Taiwan è di fatto indipendente, ma la Repubblica Popolare Cinese vorrebbe che anche il resto del mondo la considerasse una propria provincia. Dal 1979 ad oggi la posizione statunitense sullo status di Taiwan è stata un capolavoro di ambiguità ed abilità diplomatica: in quell’anno gli americani hanno rotto le relazioni diplomatiche con Taipei per ristabilirle con Pechino, ma hanno anche chiarito ai leaders cinesi che avrebbero continuato a considerare l’isola un alleato e avrebbero continuato a fornirle armi ed assistenza strategica,pur rispettando formalmente il principio di “una sola Cina”. Il problema è che dal 1979 ad oggi a cambiare non è stata soltanto la Cina Popolare, col suo impressionante sviluppo economico, ma anche Taiwan, che non è più una dittatura di destra come negli anni settanta,ma una fiorente democrazia multipartitica.
Molti membri del Congresso americano ammirano profondamente questa trasformazione e da ciò nasce il Taiwan Travel Act,che quasi definisce Taiwan uno stato sovrano,affermando in una delle sue clausole: “Le visite in un paese da parte di membri del governo Usa sono un indicatore della profondità e vastità dei legami tra gli Stati Uniti e quel paese”. Qualche giorno fa il presidente taiwanese Tsai Ing-Wen ha accolto a Taipei i senatori e deputati Usa che hanno presentato il disegno di legge. Trump all’inizio della propria presidenza aveva affermato che avrebbe coordinato con il leader cinese Xi Jinping ogni mossa sulla questione taiwanese;negli ultimi mesi, però, sembra che gli Stati Uniti stiano indurendo la propria posizione sul tema.
Nel gennaio 2018 un falco anti-cinese, Randall Schriver, è stato promosso a capo della sezione Asia-Pacifico del Pentagono.Un altro falco, John Bolton, è diventato consigliere per la sicurezza nazionale; un mese fa il diplomatico del Dipartimento di Stato Usa Alex Wong ha dichiarato in un discorso a Taipei: “Taiwan non puo’ piu’ essere esclusa ingiustamente dalla comunità internazionale.Ha moltissimo da offrire al mondo”.
A Pechino non sono per niente contenti di questi sviluppi. Peraltro, al di là della delicatissima questione taiwanese, l’amministrazione Trump ha annunciato il 3 aprile 2018 dazi del 25% su molti prodotti cinesi. Xi per fortuna non pare avere alcuna intenzione di alzare ulteriormente il livello delle tensioni con gli Usa, ma potrebbe finire sotto pressione da un’opinione pubblica cinese che e’ molto nazionalista e considera inaccettabile ogni cedimento su Taiwan. I taiwanesi si godono la loro democrazia e la loro fiorente economia industrializzata.In gran parte gli abitanti dell’isola disprezzano gli autocrati comunisti di Pechino,ma sono anche terrorizzati dall’idea che Taipei diventi campo di battaglia delle tensioni geopolitiche fra America e Cina.