C’era bisogno della partita perfetta, e così è stato. La Roma, per la prima volta in trentaquattro anni, è in semifinale di Champions League, dopo il 3 – 0 sul Barcellona che ha fatto impazzire l’Olimpico e una città intera. Senza dubbio la miglior prestazione stagionale per gli uomini di Di Francesco, che all’appuntamento più importante della sua carriera ha mostrato tutta la sua preparazione tattica, imbrigliando i prossimi campioni di Spagna con una mossa tattica a sorpresa.
Per la prima volta in stagione, infatti, i giallorossi sono scesi in campo con la difesa a tre, in un 3-4-2-1 con Schick e Nainggolan a supporto dell’unica punta Dzeko. Un assetto che ha soffocato l’uscita del pallone da parte del Barcellona, spesso costretto al rinvio lungo da parte del portiere Ter Stegen per evitare di subire il pressing alto della formazione capitolina. Dall’altra parte, Valverde rispondeva con lo stesso 4-4-2 fluido visto all’andata, con Messi libero da compiti difensivi e pronto a cercarsi la posizione migliore alle spalle di Suarez.
Il fuoriclasse argentino, però, è incappato in una serata no, dettata anche dalla gabbia costruita intorno a lui da Di Francesco. Non appena la Roma perdeva il possesso della sfera, infatti, De Rossi e, in seconda battuta, Juan Jesus non concedevano spazio al numero 10, ricorrendo al fallo sistematico pur di impedirgli di girarsi e di sprigionare il suo talento in campo aperto. Le doti fisiche di Manolas, collocato al centro della difesa nonostante le caratteristiche tecniche non esattamente da libero, hanno fatto il resto, con il greco sempre attento nei recuperi sulla palla scoperta alle spalle della linea difensiva.
In un Olimpico gremito e molto presente sul piano del tifo, nonostante i tanti turisti allo stadio, Dzeko ha trovato il gol del vantaggio dopo appena sei minuti di gioco, alimentando le speranze dei suoi e mandando in bambola il Barcellona, che forse, dopo il risultato dell’andata, si aspettava un avversario più arrendevole. I giallorossi, dal canto loro, fiutando l’aria d’impresa, hanno spinto sull’acceleratore, e uno Strootman indemoniato a centrocampo pressava su tutti i portatori di palla blaugrana.
Dopo un primo tempo in cui il Barcellona si era fatto vivo solo con due punizioni di Messi, mentre la squadra di casa recriminava per le occasioni fallite da Schick, la ripresa continuava sullo stesso spartito, con una Roma alta in pressione e rapida a verticalizzare. Da uno di questi palloni in profondità, al quarto d’ora, è nato il calcio di rigore del 2 – 0, trasformato da De Rossi dopo il fallo (probabilmente da rosso) di Piqué su Dzeko.
Di Francesco, ancora una volta in questa serata di grazia, ha avuto l’intuizione giusta, inserendo dalla panchina Cengiz Under ed El Shaarawy per l’ultimo assalto: il faraone ha sfiorato il gol, fermato solo da un grande intervento di Ter Stegen, mentre il turco, dalla bandierina, ha confezionato l’assist per il definitivo 3 – 0 di Manolas, a suggellare una grande prestazione collettiva. Da lì in poi, con i cambi offensivi di Valverde, gli ultimi dieci minuti sono stati di sofferenza e confusione, in particolare per il gran brivido della conclusione di Dembelé da fuori, a porta vuota dopo l’uscita avventata di Alisson.
Una prova che vale alla Roma l’accesso alle semifinali di Champions League, per la gioia del presidente Pallotta (“Mai visto la mia squadra dominare così”) e di una tifoseria in estasi, che si è profusa in tutti i suoi classici eccessi nel postpartita in Piazza del Popolo. Nell’esagerazione tipica del romanismo, raggiungere la finale di Kiev adesso sembra quasi un obbligo, un traguardo dovuto alla luce della prestazione di ieri sera. Sicuramente, qualora il sorteggio di venerdì dovesse rivelarsi benevolo e riservare ai giallorossi il Liverpool, per una riedizione della drammatica finale del 1984, le probabilità di passaggio del turno aumenterebbero, ma in questo momento sembra più opportuno tornare con i piedi per terra, in vista del derby di domenica.
Intanto, tutto il popolo di fede romanista si coccola Eusebio Di Francesco, accolto tiepidamente e più volte criticato (anche a ragione) nel corso della stagione, ma capace di portare la Roma dove Spalletti e persino Capello avevano fallito, raggiungendo le vette toccate dal solo barone Liedholm, quando però la Champions League si chiamava Coppa dei Campioni e il format del torneo, con le sole formazioni vincitrici dei campionati nazionali, rendeva nettamente più bassa la competitività media.
Il tecnico abruzzese si toglie così qualche sassolino dalla scarpa, per una vittoria che consente anche maggior sicurezza economica in termini di bilancio, e dunque lascia auspicare una minor necessità di cedere nella prossima sessione di mercato per ottemperare ai vincoli del Fair Play Finanziario UEFA, considerando anche la cessione di Emerson Palmieri a gennaio.