Il lato oscuro di Facebook potrebbe non essere mai stato più oscuro di oggi. Il re dei social rischia la ‘ghigliottina’. “Connettere” – per i tecnici di Zuckerberg – è un imperativo che non conosce remore: il Network in blu non deve abbandonare la sua missione. Anche se lo si usa per uccidere. Non sono parole dei suoi detrattori. È il messaggio (terrificante) che emerge da un documento-choc che risalirebbe al 2016. Doveva essere solo un memo. Oggi, è noto come “The Ugly” e potrebbe essere la bomba a orologeria che condanna a morte l’impero di Zuckerberg.
Si chiamava Antonio Perkins. Aveva 28 anni, quando è morto. Ucciso, a Chicago, da un colpo di pistola in faccia. In diretta, su Facebook. Era il 16 giugno del 2016. Trascorrono due giorni. Il 18 giugno, Andrew “Boz” Bosworth, numero 2 di Facebook, si sente in dovere di commentare la vicenda e invia un memo – riservatissimo – ai suoi colleghi. “Noi connettiamo le persone”. E questa missione, secondo Boz, deve essere difesa a qualunque costo. “Magari qualcuno trova l’amore”, prosegue la nota, “Qualcuno salva la vita di qualcun altro. E noi connettiamo ancora più persone”. Ma “il brutto” di The Ugly si può leggere qualche parola dopo: “Magari costa la vita a qualcuno che entra in contatto con dei bulli. Magari qualcuno muore in un attacco terroristico organizzato grazie ai nostri strumenti. E noi connettiamo ancora le persone”. Il documento sta facendo il giro del mondo, proprio perché il mondo è connesso. E sta girando il mondo su Facebook, sulla piattaforma dove tutto – secondo Boz – sarebbe concesso. Poi, la drammatica conclusione: “Crediamo così tanto nella necessità di connettere persone che tutto quello che ci permette di farlo è positivo de facto”. Positivo de facto. Come un ragazzino che muore perché bullizzato. Come un attacco terroristico.
Buzzfeed scova “The Ugly Truth” di Facebook e la pubblica due anni dopo la sua divulgazione (interna, chiaramente). Tempismo perfetto. E mentre il social precipita nel baratro delle contestazioni, il mondo iperconnesso commenta e giudica. Zuckerberg prende immediatamente le distanze. Ma difendersi è difficilissimo: “Bosworth ha scritto qualcosa con cui io e la maggior parte delle persone che lavorano in Facebook siamo in disaccordo”, dichiara il Ceo più discusso del momento. E neanche Boz tarda a discolparsi. “Non ero d’accordo persino quando lo stavo scrivendo. Volevo lanciare una provocazione”. Una brutta provocazione, potremmo aggiungere. Una provocazione che infiamma il dibattito e che preoccupa i vertici della Silicon Valley.
Menlo Park sta tremando. E noi non conosciamo ancora (probabilmente) l’entità del sisma che sta scuotendo Facebook.